Uno dei fronti più caldi dei cambiamenti climatici su scala globale è il Mar Mediterraneo. Il “Grande Mare”, bacino chiuso e di dimensione minore rispetto agli oceani del pianeta, sperimenta in forma accelerata le stesse problematiche di surriscaldamento, acidificazione e cambiamento biologico che caratterizzano le grandi masse d’acqua.
Questo è oltremodo significativo nel contesto di un mare che è da sempre abitato sulle sue sponde da una delle più ampie, variegate e dense concentrazioni di società e comunità umane e che rappresenta un bacino in perenne dialogo con un’ampia area terrestre di riferimento, dall’Europa al Sahel.
I fatti di questi mesi lo testimoniano. La pericolosa ondata di caldo e la tempesta “Apollo” che hanno toccato la Sicilia, suo malgrado centro non solo geopolitico del Mediterraneo, da agosto in avanti hanno segnalato anche nell’opinione pubblica italiana l’immanenza della sfida. Parliamo di eventi climatici estremi che segnalano la rottura di equilibri naturali delicati, di scosse telluriche aventi le loro ripercussioni anche al di là del Mediterraneo.
Un clima in continuo mutamento
La scienza mostra con certezza che il Mediterraneo si sta riscaldando velocemente, e sempre nuove analisi dettagliano le vere misure del problema. Uno studio del Mit di Boston pubblicato nel 2020 sul Journal of Climate, tra le maggiori riviste accademiche di settore, segnala il Mediterraneo intero come un hotspot. Le ricerche sul campo hanno contribuito a sottolineare come l’inaridimento generale delle regioni del Mediterraneo sia da far risalire alla confluenza tra due problematiche: da un lato, un riscaldamento delle masse d’aria delle alte quote atmosferiche; dall’altro, una riduzione graduale e continua del differenziale di temperatura tra terra e mare dovuta al fatto che il Mediterraneo ha un tasso di riscaldamento superiore del 20% alla media mondiale, dato che può comportare secondo il Wwf un innalzamento medio del livello dei mari di un metro entro il 2100. Nessuna di queste problematiche da sola può contribuire a creare una “bomba” climatica, ma la loro convergenza, legata a dinamiche di lungo periodo in avanzamento su scala mondiale, crea il contesto problematico del Mediterraneo odierno.
Non è un caso che il Grande Mare sia lo scenario in cui la possibilità di una “Grande Tempesta” climatica, associata dallo storico dell’economia Adam Tooze a uno scenario regionale in un dialogo con Inside Over, è maggiormente ipotizzabile. In particolare, il Mediterraneo subisce un effetto controintuitivo rispetto al resto del mondo: se da un lato secondo diversi studi si ritiene che il riscaldamento globale causerà su buona parte del globo un aumento delle precipitazioni, dall’altro i dati riportati anche dal Mit segnalano che il Mediterraneo mostra un andamento opposto: localmente, fino al 40% della precipitazione invernale potrebbe andare persa, oppure rischia di concentrarsi in pochi eventi catastrofici come avvenuto in Sicilia.
Conseguenze geopolitiche
La siccità e la “saharizzazione” del clima del bacino del Mediterraneo può imporre anche delle conseguenze sociali, economiche e politiche. Non a caso i fenomeni dominanti nel Mediterraneo da alcuni anni a questa parte sono le ondate di siccità. La combinazione tra riscaldamento, riduzione delle precipitazioni e siccità, che concentrano l’uscita di piogge e precipitazioni in pochi eventi estremi, è stato pagato con forza dall’Italia in questo 2021: la torrida estate 2021 del record di caldo in Europa ha visto lo Stivale pagare un prezzo altissimo tanto a livello di siccità quanto di danni alle coltivazioni: quasi ogni regione è risultata in estrema sofferenza per terreni aridi, fiumi a secco, desertificazione e carenza di pioggia e in quelle dove si è riusciti a portare avanti i raccolti grandine ed eventi meteo intensi hanno fatto disastri. E contribuito a sconvolgimenti geopolitici: tra il 2008 e il 2011, ad esempio, dopo un lungo periodo stabile (riscaldamento di un grado di media dal 1931 al 2008) il Medio Oriente e il Nord Africa vicini al Mediterraneo subirono un profondo deficit di precipitazioni, un aumento dell’evaporazione idrica e un’ondata di siccità che ha contribuito a danneggiare i raccolti e aumentare i prezzi delle materie prime alimentari. Questo ha contribuito a innescare la miccia di quelle che sarebbero divenute le Primavere Arabe, nate nei mercati e nei suk delle regioni del Maghreb come rivolte per il pane.
Un’altra questione problematica è quella degli stock ittici. “Il riscaldamento delle acque”, nota L’Indipendente, “ha portato molti pescatori a spingersi sempre più a largo alla ricerca di pesce, e ad essere meno esigenti riguardo a dove calano le reti. Il rischio è che alcuni uomini finiscano immischiati in controversie territoriali. È il caso dei pescatori italiani che navigavano in acque contese, sequestrati dalle autorità libiche”. L’incrocio tra la pesca eccessiva, l’inquinamento causato dalla plastica, l’acidificazione, il riscaldamento globale sta contribuendo al declino di buona parte della fauna ittica mediterranea e secondo il report sullo stato di salute dei mari pubblicato dalla Commissione europea specie come la sardina iberica e il nasello mediterraneo potrebbero presto estinguersi commercialmente nelle acque mediterranee, danneggiando le comunità che vivono di pesca in Europa e, soprattutto, Nord Africa.
Clima mediterraneo addio?
In questo contesto il clima delle aree profonde dell’Africa potrebbe plasmare sempre di più quello della sponda nord del Mediterraneo, portando di fatto alla marginalizzazione delle aree in cui la tipologia di clima che prende il nome dal Grande Mare è dominante. Di questo problema ha segnalato l’importanza una grande società di consulenza strategica del calibro di McKinsey, in un ampio e dettagliato studio sugli impatti geoeconomici dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo. McKinsey ha segnalato che secondo le sue proiezioni raddoppieranno da qui al 2050 i giorni con più di 37 gradi in un anno in diverse regioni, dalla Turchia al Sud della Spagna. Quattro prodotti simbolo dell’agricoltura e della dieta mediterranea (grano, olive, pomodoro, uva) che contribuiscono al 40% del Pil del settore primario nel bacino della regione rischiano di vedere la loro produzione andare a picco in un contesto che potrà vedere, secondo McKinsey, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sperimentare siccità prolungate fino a sei mesi ogni anno. Una testimonianza della portata degli impatti reali che la grande emergenza ambientale potrà avere nella regione. E che nelle ultime giornate è drammaticamente emersa nel suo epicentro.
Apollo mette a nudo la vulnerabilità climatica del Mediterraneo
Basta fare un giro per i social per vedere come negli ultimi giorni, al fianco delle immagini rilanciate relative alla recente alluvione di Catania, ci siano ampi riferimenti degli utenti ai cambiamenti climatici. La Sicilia in questo 2021 ha conosciuto gli estremi opposti. Ad agosto nella cittadina di Floridia, in provincia di Siracusa, è stato registrato il livello più alto di temperatura mai avuto in Europa. Quei 48.8 gradi annotati dai termometri hanno segnato un record. Oggi quelle stesse zone sono flagellate da Apollo, la tempesta tropicale che ha colpito a fine ottobre l’isola. Per questo in tanti hanno sottolineato come l’andamento climatico degli ultimi mesi sia figlio dei mutamenti occorsi nella natura.
Il 26 ottobre nella sola Catania in poche ore è caduta tanta acqua quanto solitamente se ne accumula in sei mesi. Il disastro è stato inevitabile. Tre vittime e danni materiali ingenti in una zona già tartassata economicamente dal Covid. Il livello di distruzione è stato acuito senza dubbio dalla cementificazione. Anche a Catania e nell’hinterland di vie di sfogo dell’acqua ne sono rimaste poche. L’estremità del fenomeno ha però indotto molti a puntare il dito sui cambiamenti. Anche perché l’avvento della tempesta Apollo pochi giorni dopo ha dato nuovamente idea della vulnerabilità dei territori attraversati dal maltempo. Molti siciliani e non solo hanno trascorso i giorni di fine ottobre a osservare sui radar l’evoluzione dell’occhio del ciclone, un fatto quasi inedito in un Mediterraneo spesso considerato immune da questi fenomeni.
Le piogge torrenziali in Tunisia
Mentre a Catania si contavano i danni, dall’altra parte del Mediterraneo decine di militari erano impegnati a spazzare via il fango dalle strade. Le due sponde del mare nostrum hanno avuto in comune negli ultimi giorni due distinte ma egualmente grandi tempeste. In Tunisia infatti sono stati almeno tre i morti a causa degli acquazzoni che hanno interessato il nord del Paese. Anche qui lo scenario è stato contraddistinto da strade trasformate in fiumi in piena, città invase dall’acqua e infrastrutture seriamente danneggiate. E non era la prima volta. Lo scorso anno, sempre nel nord della Tunisia, le vittime a causa del maltempo sono state sei, nel 2018 invece cinque. Il tributo in termini di morti e danni per via delle cattive condizioni meteo inizia a farsi pesante.
Vero che anche da queste parti lo sviluppo del territorio degli ultimi anni non ha aiutato. Gli impianti di drenaggio sono molto datati, in diversi blog alcuni attivisti tunisini hanno lamentato la mancanza di semplici lavori di manutenzione in tutte quelle opere che allevierebbero la portata d’acqua nelle città colpite dalle alluvioni. Ma è anche vero che i più anziani non ricordano una simile violenza dei fenomeni temporaleschi. Segno di come da una parte e dall’altra del Mediterraneo il clima sta manifestando i suoi drastici mutamenti.