La Cina ha un nuovo, invisibile, nemico: l’ozono. Un recente studio accademico dimostra che la lotta all’inquinamento da parte di Pechino ha prodotto un aumento della quantità di ozono, una delle sostanze più pericolose dell’atmosfera.

Dal 2013 il governo di Pechino ha dichiarato guerra all’inquinamento, implementando politiche restrittive per ridurre la quantità di polveri sottili presenti nell’aria delle sue città. Le stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria sono aumentate in tutto il Paese, superando il migliaio di unità e mettendo a disposizione degli istituti di ricerca una enorme quantità di dati relativi all’ambiente.

Nell’arco dei cinque anni successivi, la concentrazione di PM 2.5 è scesa fino al 40% in alcuni casi, anche grazie alla riduzione di automobili, di impianti produttivi alimentati a carbone e ad un maggiore utilizzo di energie pulite.

La ricerca condotta dagli accademici della Harvard University e della Nanjing University of Information Science & Technology, e pubblicata lo scorso gennaio su una rivista scientifica, dimostra però che contestualmente alla diminuzione di PM 2.5, la quantità di ozono a livello del suolo è aumentata significativamente, in particolare nelle grandi città.

L’ozono è uno degli strati gassosi che circondano l’atmosfera terrestre, che funge da scudo contro i raggi ultravioletti. È anche il principale ingrediente dello smog e una sua eccessiva concentrazione al livello del suolo è una pericolosa minaccia per la salute dell’essere umano. La sua presenza nell’aria può danneggiare le cellule dei polmoni e di altri organi.

Circa un quarto dei decessi per malattie respiratorie legate all’ozono in tutto il mondo avviene proprio in Cina, dove la quantità presente al livello del suolo va dalle due alle sei volte rispetto all’aria degli Stati Uniti, Europa, Giappone o Corea del Sud. Stando ai risultati di una ricerca del 2017, nel solo 2010, l’ozono è stato il responsabile della morte di circa 316000 adulti cinesi.

Secondo lo studio condotto dalle due università, la materia particolata funge da spugna per i radicali liberi, impedendo la produzione di ozono. Quando il livello di PM 2.5 scende, le reazioni che producono ozono si verificano più facilmente. Il collegamento tra i due fenomeni è stato possibile proprio in una regione come quella della Pianura della Cina del Nord, in cui l’industrializzazione massiccia è divenuta obiettivo principale della lotta all’inquinamento.

Daniel Jacob, co-autore della ricerca, ha affermato: “Non abbiamo osservato alcun fenomeno simile in altre parti del mondo, perché nessun altro Paese ha intrapreso una lotta così tempestiva all’emissione di materia particolata. La Cina ha fatto in quattro anni ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in trent’anni”.

Il problema dell’ozono è anche aggravato dalla scarsa consapevolezza dei cittadini sull’argomento. In Cina, il dibattito pubblico sull’inquinamento è principalmente incentrato sulle micro-particelle PM 2.5 e PM 10, potenziali responsabili di cancro, infarto e malattie respiratorie. Gli effetti dell’inquinamento da ozono, invece, sono molto meno conosciuti. E mentre la presenza di polveri sottili si manifesta con il grigiore tipico, l’inquinamento da ozono al livello del terreno è presente anche nelle giornate in cui il cielo sembra particolarmente limpido.

Secondo Zhang Junfeng, professore di salute ambientale e globale al Centro di ricerca sull’Ozono della Duke Kunshan University, senza contromisure adeguate la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi anni: “La Cina dovrebbe fare più attenzione al controllo dell’ozono. Una volta che entra nel corpo umano, causa danni considerevoli al sistema immunitario e può aggravare problemi cardiovascolari e respiratori preesistenti”, ha affermato.

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