Dopo gli incendi che hanno devastato l’Amazzonia, il Brasile è alle prese con una nuova emergenza ambientale. Certo, non ancora grave come le fiamme che nell’ultima estate, soltanto a luglio, hanno bruciato circa 225 mila ettari di foresta pluviale – ovvero il triplo rispetto al 2018 – ma comunque una potenziale bomba ecologica. Le spiagge del nordest del Paese sono inquinate da chiazze di petrolio di origine sconosciuta, e questa situazione si sta protraendo da un mese abbondante: troppo tempo per dare la colpa a incidenti navali o correnti marine. Secondo Jair Bolsonaro, quanto sta accadendo potrebbe essere il risultato di un’azione criminale. Il presidente brasiliano lo ha detto espressamente ai giornalisti al termine di un incontro con il ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles.

Le misteriose chiazze di petrolio

La “crisi petrolifera”, se così possiamo definirla, è sempre più ampia e le autorità non sanno come intervenire. È stato stimato che le chiazze di petrolio hanno raggiunto 132 località di 61 municipi facenti parte di 9 Stati differenti. L’Istituto brasiliano per l’ambiente (Ibama) ha analizzato il petrolio rinvenuto nelle spiagge ed è arrivato alla conclusione che non si tratta di greggio prodotto o commercializzato in Brasile. La conferma arriva anche dalla compagnia petrolifera statale Petrobras. “Il volume di petrolio che arriva sulle spiagge non è costante – ha detto Bolsonaro – Se provenisse da una nave affondata, per esempio, il petrolio starebbe ancora uscendo. Sembra invece che qualcosa sia stato scaricato lì”.

Il presidente brasiliano è quindi sempre più convinto che il suo Paese possa essere finito nel mirino di criminali o potenze straniere, e addirittura ha affermato di avere “un Paese nel radar” ma non ha voluto svelare di quale Stato si trattasse. Affrontando più nel dettaglio la questione, Bolsonaro ha continuato il discorso sottolineando come la notizia fosse riservata: “Non posso accusare un Paese. Non voglio creare problemi con altri Paesi”. In ogni caso, Brasilia ha incaricato la polizia federale di avviare indagini capaci di far luce sul caso. Per affrontare al meglio la complessa operazione sono scesi in campo anche il ministero della Difesa, il citato Ibama e l’Istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversità (Icmbio).

Una crisi da non sottovalutare

Al momento non sono arrivati sviluppi degni di nota. La crisi, nel frattempo, peggiora sempre di più. Pochi giorni fa il governo dello Stato brasiliano di Sergipe ha dichiarato lo stato di emergenza a causa degli ingenti danni ambientali causati dalle chiazze di petrolio. Il greggio, la cui origine come detto è ancora sconosciuta, si sta depositando con sempre più insistenza nelle spiagge nord-orientali del Brasile. “La preoccupazione – ha spiegato il governo di Sergipe, una delle ultime aree a essere colpite – nasce dal fatto che la situazione sta peggiorando e che stanno aumentando continuamente i punti dove si depositano le chiazze, il che significa che il governo deve definire un nuovo piano di azioni”. L’Ibama ha tirato un primo bilancio della crisi ambientale in corso: fin qui le chiazze di petrolio hanno raggiunto Bahia, Alagoas, Cearà, Maranhao, Paraiba, Pernambuco, Piauì, Rio Grande do Norte e, appunto, Sergipe. Anche la Marina brasiliana e l’ong Projeto Tamar hanno confermato quanto dichiarato dall’istituto. A rischio, oltre la salute degli abitanti, molte specie marine in via di estinzione.





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