Il ministero dell’Ambiente nei Paesi occidentali è diventato d’improvviso affar serio. In tempi di lotta ai cambiamenti climatici, di manifestazioni per la tutela dell’ambiente, di politiche per la riduzione di emissioni di carbonio la pressione su un dicastero di norma ben lontano dai riflettori è diventata insopportabile. Il Giappone, che pure non è geograficamente un Paese occidentale, condivide molte delle preoccupazioni con cui devono fare i conti i paesi sviluppati. Con un Fukushima in più. L’incidente nucleare dell’11 marzo 2011, il più grave di sempre al pari di Chernobyl, ha devastato il nord-est del Paese asiatico, ha provocato morte, distruzione, contaminazione, evacuazione di decine di migliaia di persone e ha dato il là a un drastico cambio di rotta nella politica energetica del Giappone.

Tutto ciò che riguarda l’ambiente, dunque, nel Sol Levante fa notizia. Basti pensare alla frase pronunciata da Harada Yoshiaki, l’ex Ministro nipponico che a pochi giorni dal rimpasto nel gabinetto di Abe confessò che l’acqua radioattiva contenuta nelle cisterne della centrale nucleare di Fukushima sarebbe dovuta essere “scaricata in mare e diluita”. È stato lui a passare a Koizumi Shinjirō un testimone che somiglia molto più a una spada di Damocle.

Un astro nascente

Considerato l’astro nascente della politica giapponese, Koizumi, 38 anni, è diventato il terzo più giovane ministro dal dopoguerra. Figlio dell’ex Primo Ministro Koizumi Jun’ichirō, è ampiamente ritenuto dagli opinionisti e dagli addetti ai lavori nipponici come uno dei più forti candidati alla successione di Abe. Il carisma certo non gli manca: durante la prima conferenza stampa da nuovo ministro dell’Ambiente, nonostante dalle alte sfere lo avessero catechizzato per evitare scivoloni, ha pensato bene di rispondere a una domanda sull’impiego futuro dei reattori nucleari con un lapidario: “Vorrei ragionare su come dismetterli, non su come conservarli”. Un siluro lanciato contro alcuni dei più importanti leader del partito liberaldemocratico, che al contrario sostengono un ritorno al nucleare basato sulle nuove norme di sicurezza imposte dopo Fukushima. Per esempio, il nuovo ministro del Commercio, Sugawara Isshu, ha risposto per le rime: “È irrealistico liberare il Giappone dall’energia nucleare”.

La dipendenza dai combustibili fossili

Al momento, nel Sacro Arcipelago sono presenti sei reattori funzionanti, poco più di un decimo rispetto ai 54 in uso prima del disastro nucleare, che producevano circa il 30% dell’energia elettrica necessaria al paese. Il 40% di questi è già in fase di dismissione, ma la svolta intrapresa dal Giappone nell’impiego delle energie rinnovabili procede a rilento, e ad oggi il Paese dipende quasi totalmente dai combustibili fossili, importati per l’energia primaria. Al momento, dopo Cina e India, il Giappone rappresenta il terzo importatore mondiale di carbone ed è al primo posto per la domanda di Gnl (gas naturale liquefatto).

II cosiddetto Basic Energy Plan, varato dal Consiglio dei ministri nipponico per illustrare le fette del paniere energetico del futuro, ha confermato l’impossibilità pratica per il Giappone di essere ottimista. Nell’ambito degli impegni presi insieme agli altri paesi che hanno aderito all’accordo di Parigi per il contrasto dei cambiamenti climatici, Tokyo ha fissato a un mero 22-24% il contributo che le rinnovabili dovranno dare al fabbisogno energetico nazionale nel giro dei prossimi 12 anni, a fronte di un attuale 15%.

Il Bep prevede inoltre un contributo del 20%-22% da parte del nucleare, mentre il carbone dovrà scendere al 26% (comunque molto alto), il gas al 27% e il petrolio al 3%. Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, l’obiettivo del piano giapponese è quello di ridurle del 26% nel 2030 rispetto ai livelli del 2013 e dell’80% entro il 2050. Il Paese dovrà essere inoltre energeticamente autosufficiente per il 24% del suo fabbisogno. Molto poco, sebbene nel 2016 la percentuale fosse appena dell’8%.

Il portavoce di un ambientalismo “sexy”

Fukushima insomma, anche in questo, ha cambiato la storia. Ma nell’immediato sono pochi in Giappone a pensare di poter fare totalmente a meno del nucleare. Il fatto è che uno di questi di mestiere fa il ministro dell’Ambiente.

Koizumi Shinjirō ha ribadito nei giorni scorsi di voler “realizzare una società, una nazione, un Paese senza paura della crisi nucleare. Non è facile, ma farò del mio meglio per ridurre il nucleare in futuro”. Alla vigilia del summit delle Nazioni Unite sul clima si è rivolto ai giovani presenti dicendo di voler rendere la lotta al cambiamento climatico “sexy” e “divertente”:
“In politica ci sono così tante questioni, a volte noiose. Affrontare un problema su larga scala come il cambiamento climatico deve essere divertente, deve essere cool”.

Musica per le orecchie del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che tra le altre cose ha esortato i governi a non costruire nuove centrali a carbone dopo il 2020. Un riferimento, nemmeno tanto indiretto, proprio al Giappone, l’unico paese del G7 che sta pianificando di aggiungere capacità di produzione di energia elettrica da questa fonte “sporca”. Tutti progetti peraltro finanziati dal governo e dalle banche d’affari nipponiche. Per molti, dunque, Koizumi più che un Ministro è una scheggia impazzita, dacché vuole incentivare tutto il paese a fare di più sul fronte ambientalista anche in virtù del suo ruolo di nazione che ha dato i natali al Protocollo di Kyoto, il trattato sul clima concordato nella ex capitale dell’impero giapponese nel 1997.

“Da allora non abbiamo intrapreso un’azione forte e una leadership prestigiosa, ma d’ora in poi vogliamo fare di più”, ha detto. Di dettagli però, per ora, non c’è nemmeno l’ombra.

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