Nell’Amazzonia si potrebbe combattere una delle più tragiche battaglie legate alla diffusione della pandemia di coronavirus, arrivata a travolgere il Brasile con una virulenza senza eguali in America Latina. L’approssimazione e gli errori del governo di Jair Bolsonaro hanno contribuito a trasformare un contagio che nel Paese verdeoro è arrivato relativamente in anticipo sul resto del mondo (primo caso registrato il 25 febbraio) in un flagello umanitario senza precedenti: il Brasile conta oltre 22mila morti per il Covid-19, ha visto i decessi triplicare in due settimane, è secondo al mondo per casi dopo gli Stati Uniti.

La diffusione della pandemia in Amazzonia preoccupa. Nello stato brasiliano di Amazonas al 25 maggio erano oltre 29mila i casi confermati e 1.758 le morti, mentre secondo i dati del Coordinamento delle Organizzazioni indigene della valle amazzonica (Coica) nel compesso dell’area amazzonica il virus ha colpito 526 nativi di 33 differenti popoli e ne ha uccisi 113. “Numeri piccoli in termini assoluti”, spiega Avvenire, “ma drammatici rapportato allo scenario amazzonico dove numerose comunità hanno qualche decina di abitanti” e dove si manifesta l’elevata letalità del virus in popolazioni non adatte all’incontro con diverse malattie esterne al loro ambiente. Un’altra organizzazione, l’Articolazione delle popolazioni indigene del Brasile (Apib), parla invece di 44 tribù contagiate, pur riportando un numero di morti inferiore, pari a 103.

Le comunità indigene subiscono una minaccia basata su quattro diversi problemi. Il primo è quello materiale e diretto del contagio epidemico: i presagi possono essere funesti perchè in passato malattie portate dall’esterne hanno causato la morte della grande maggioranza di interi popoli, sterminati fino al 90%. Secondo problema è la carenza sanitaria, come riporta Il Fatto Quotidiano: “Gli ospedali dell’Amazzonia non hanno risorse per far fronte ad un’emergenza di tale portata, e i governanti dei vari paesi non sempre hanno adottato le strategie che potrebbero davvero aiutarli”, in linea con l’esecutivo nazionale. Il terzo problema è il persistere dell’assalto economico e sociale all’Amazzonia e agli indigeni da parte di cacciatori illegali d’oro (garimpeiros), agrari e disboscatori di frodo. Su base annua, ad aprile 2020 la deforestazione in Amazzonia è cresciuta di circa i due terzi (63,7%) e l’Istituto di ricerche spaziali brasiliano, Inpe, ha reso noto che dall’inizio del 2020 sono andati persi 796 km quadrati di foresta. Fiona Watson, principale esponento del dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International, l’organizzazione mondiale per la tutela dei diritti dei popoli indigeni, ha parlato di “politiche genocide” riferendosi allo smantellamento delle organizzazioni pro-indios del governo da parte di Bolsonaro, ma anche le incoscienti scelte di Brasilia sul coronavirus potrebbero rientrare in questa definizione.

Quarto problema, e madre di tutti gli altri, è proprio la spericolata gestione politica della crisi da parte di Bolsonaro. Su cui pende la spada di Damocle di un’esplosione ulteriore del contagio, e sulle cui politiche verso gli indigeni, già contrastati e assediati nelle loro roccaforti tutelate costituzionalmente, cade ora anche l’ombra del negazionismo riguardo l’utilità delle misure anti-virus.

Gli indigeni brasiliani, custodi del “polmone verde” e di una sovranità sociale e umana nel cuore della foresta amzzonica, vivono ogni giorno come una battaglia per la sopravvivenza da quando, a gennaio 2019, Bolsonaro ha inaugurato la sua presidenza scatenando appetiti economici, leciti e non, sulle loro terre: dagli omicidi agli incendi dolosi, il 2019 è stato un anno orribile, e il 2020 porta con sè il fardello del coronavirus. La minaccia alla sopravvivenza di comunità millenarie, ridotte a poche, sparute centinaia di abitanti è ora messa in dubbio dalla pandemia globale che, in Brasile come nel resto del mondo, colpisce con maggior violenza gli ultimi, gli emarginati, i più deboli. Arrivando a rappresentare la copertura ideale per politiche indecenti condotte sulla pelle dei popoli più antichi dell’Amazzonia.

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