All’interno del Green Deal si nascondono almeno due trappole clamorose. Breve riassunto sull’oggetto da analizzare: il piano ambientale proposto e approvato dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen avrà una potenza di fuoco pari a mille miliardi di euro.

Ogni anno, da qui al 2030, sono previsti 10 miliardi di investimenti. Il 10% dell’intera somma sarà destinato a un particolare fondo di transizione energetica (il cosiddetto Just Transition Fund) che avrà il compito di attuare la riconversione economica delle aree europee maggiormente dipendenti dai carburanti fossili.

Chi pagherà il conto? La Commissione è stata chiara: “almeno il 25%” del bilancio Ue sarà utilizzato per gli investimenti in settori verdi. I 485 miliardi di euro raccimolati in questo modo non sarebbero tuttavia sufficienti per raggiungere gli obiettivi prefissati da Bruxelles, tra cui arrivare a zero emissioni di Co2 entro il 2050.

E così altri 115 miliardi di euro arriveranno grazie al cofinanziamento nazionale nell’ambito dei vari programmi collegati ai fondi strutturali europei. Il rimanente arriverà dai finanziamenti messi sul tavolo dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) e dai privati, attraverso il piano InvestEu.

L’ennesimo regalo alla Germania

Dopo aver fatto il quadro della situazione è possibile indicare almeno due trappole. La prima riguarda una certa dose di favoritismo rintracciabile nella volontà di Bruxelles di assegnare gli investimenti del Just Transition Fund letteralmente a casaccio.

In linea teorica questi soldi dovrebbero aiutare i Paesi europei più poveri. Bene, nella lista dei maggiori beneficiari spicca anche la Germania, uno degli Stati che può contare su un’economia floridissima e che negli anni passati ha avuto tutto il tempo possibile per convertirsi a sistemi più green.

Niente da fare: la Commissione farà anche questa volta un favore a Berlino, che quando si tratta di spartirsi benefici è sempre in prima fila.

L’ennesima beffa per l’Italia

Ma la trappola più grande è quella che chiama in causa l’Italia. Restiamo sul Just Transition Fund. Come sottolinea il Corriere della Sera, in base ai criteri spiegati, a rimpinguare le casse del fondo troviamo una percentuale di denari provenienti dal cofinanziamento nazionale.

Ogni Stato farà dunque la sua parte: verserà una certa quota e riceverà in cambio determinati benefici. Prendiamo l’Italia. Roma pagherà 900 milioni di euro complessivi, ovvero il 12% del Reddito Nazionale Lordo, per riceverne appena 364.

Certo, successivamente si sottolinea che ai 364 milioni bisognerà aggiungere (ovviamente in un secondo momento) i fondi strutturali (Fesr e Fse) e il cofinanziamento nazionale, i quali saranno pari a circa 1 miliardo e 301 milioni.

Il ministro per gli Affari Europei, Vincenzo Amendola, ha così riassunto il tutto in una nota: “Le tabelle della Commissione europea, con la previsione di 364 milioni di allocazioni all’Italia a fronte di un contributo pari al 12% del Reddito Nazionale Lordo (vale a dire di circa 900 milioni di euro) sono solo la base per una stima, della Commissione Ue, il cui ammontare potrà salire a circa 1,3 miliardi, crescendo fino a 2 miliardi, una volta aggiunto il cofinanziamento nazionale e trasferite le risorse dai fondi strutturali”.

Sarà anche vero, ma al secondo posto della classifica dei maggiori beneficiari (dietro alla Polonia, alla quale andranno 2 miliardi di euro) troviamo la Germania, che intascherà 887 milioni. Meglio dell’Italia andrà anche alla Francia, che porterà a Parigi la bellezza 402 milioni di euro.