Il litio serve per alimentare la transizione ecologica e guidare l’economia verso il “green new deal“. Ma averne a disposizione grandi quantità vuol dire scavare in profondità dentro miniere inquinanti e dannose per l’ambiente. Un paradosso spesso trascurato quando si parla di sostenibilità. Forse perché il problema dei giacimenti raramente ha riguardato l’Europa. Almeno fino a quando in una località dell’ovest della Serbia i cittadini sono scesi in piazza per chiedere, senza appelli, il ritiro del progetto di una miniera di litio da impiantare all’interno del comune di Loznica. Le proteste sono andate avanti per settimane a partire da luglio e hanno raggiunto un primo risultato pochi giorni fa, quando le autorità comunali hanno ritirato l’iniziale via libera al progetto. La partita, non solo per la miniera, ma anche per la Serbia e per l’intera idea di sostenibilità ambientale della transizione ecologica è ancora aperta.
Il progetto dell’azienda Rio Tinto
La questione legata alla miniera di Loznica è iniziata nei primi mesi del 2021. Alle autorità locali e a quelle di Belgrado è arrivato un progetto da 2.4 miliardi di Dollari firmato dai rappresentanti della Rio Tinto. Quest’ultima è una multinazionale anglo-australiana dal fatturato di oltre dieci miliardi di Dollari l’anno. Un colosso che ha sempre saputo “fiutare” i possibili affari derivanti dall’estrazione di terre rare. Il progetto è subito apparso molto ambizioso. Sotto le terre di Loznica c’è un tipo di minerale molto ambito, la jadarite. Si tratta di un silicato di litio e boro scoperto proprio dai tecnici della Rio Tinto nel 2006 a ridosso del fiume Jadar, da cui prende il nome. Il fiume è lo stesso che lambisce il territorio di Loznica e alimenta quello che per i serbi è il proprio granaio, una delle zone più importanti sotto il profilo agricolo. Grazie alle sue caratteristiche, la jadarite potrebbe essere tra i minerali più ambiti per la realizzazione di batterie per le macchine elettriche e per gli smartphone. Nella valle dello Jadar il minerale è presente in grande quantità. Si stima che se il progetto della Rio Tinto dovesse andare in porto, si potrebbero estrarre per 40 anni qualcosa come 2.3 tonnellate di jadarite.
Con una cifra simile, si produrrebbero almeno un milione di batterie per auto ogni anno. In una fase di carenza di materie prime e di difficoltà di reperimento di materiali, per molte aziende il progetto di Loznica rappresenterebbe ossigeno. Ma gli abitanti di questa località temono di avere attorno a loro un’aria tutt’altro che respirabile. Non solo i residenti di Loznica, ma anche diverse associazioni ambientaliste da tutta la Serbia hanno subito mosso preoccupazioni riguardo la miniera. I precedenti della Rio Tinto non sono del resto incoraggianti. Il Guardian nelle settimane scorse ha sottolineato come l’azienda in Australia è finita al centro di polemiche per aver distrutto, durante le fasi estrattive nel sito di Marandoo, una grotta contenente antichi e importanti reperti archeologici. In Papua Nuova Guinea sono state aperte indagini su presunti smaltimenti illeciti di rifiuti minerari nel delta del fiume Kawerong-Jaba. Poi sono in corso anche cause civili negli Usa per presente frodi e altre inchieste nel Regno Unito per mancanza di trasparenza. Troppo per i manifestanti serbi per accettare senza remore un progetto nel cuore del loro granaio, a due passi non solo dal fiume Jadar ma anche di importanti bacini quali quello dei fiumi Drina e Sava.
A pesare ci sono anche i precedenti riguardanti altri casi di miniere di litio. In Cile ad esempio, dove è presente il 30% delle riserve mondiali di litio, l’estrazione nel 2019 è stata sospesa per via dei danni provocati all’ambiente. L’eccessivo pompaggio di acqua e le attività delle varie miniere, secondo i tribunali cileni, hanno rischiato di mettere a repentaglio la biodiversità. In Serbia sono dello stesso parere: “Miniere del genere – ha spiegato sempre al Guardian la professoressa Dragana Dordevic, dell’università di Belgrado – hanno provocato problemi alla biodiversità”.
Una partita ancora aperta
Da questa estate le proteste sono andate avanti con cadenza settimanale fino a raggiungere il centro di Belgrado. Il presidente serbo Vucic ha però sostenuto il progetto, puntando sulle ricadute occupazionali e in termini di introiti per le casse dello Stato. Alla fine però i manifestanti hanno potuto registrare lo scorso 17 dicembre un primo punto a loro favore: le autorità di Loznica hanno ritirato l’appoggio al progetto. Ma la questione è ben lontana dall’essere chiusa. In questa parte di Serbia si stanno giocando contemporaneamente più partite. C’è quella tutta interna al Paese balcanico. A protestare non sono stati soltanto sparuti gruppi ambientalisti, ma una compagine trasversale in grado di abbracciare diverse sensibilità. Si va dai contadini timorosi di perdere le proprie terre, fino a professionisti, intellettuali e politici che della miniera ne hanno fatto una questione di orgoglio nazionale: per loro svendere il territorio serbo è un oltraggio a prescindere dalla bontà o meno del progetto. A schierarsi dalla parte dei manifestanti è stato anche il campione di tennis Novak Djokovic, trascinando con sé nella lotta migliaia di propri sostenitori.
C’è poi la partita più generale sul litio e sulle terre rare. La sostenibilità delle attività estrattive è un tema destinato a diventare prioritario con la crescita della domanda di litio trainata dalle politiche “green”. A Loznica per la prima volta questa partita è arrivata in Europa e la reazione popolare riscontrata in Serbia potrebbe fare da specchio a quella che si potrebbe vedere anche in altri territori del Vecchio Continente dove, tra non molto, i giacimenti di litio attireranno nuovi progetti.