L’Uganda, uno dei Paesi più poveri al mondo negli ultimi tre anni è diventato un faro a livello globale per quel che riguarda l’accoglienza dei profughi. Il Paese dei Grandi Laghi ha infatti dato vita a un modello d’accoglienza unico che ha permesso di ospitare oltre un milione di rifugiati provenienti soprattutto da Sud Sudan e dal Congo: molto più di quanto abbiano fatto la maggior parte dei Paesi ricchi d’Europa.
Il modello d’accoglienza ugandese prevede che i rifugiati dopo essere entrati in Uganda ed essere stati registrati vengano ricollocati in una delle 30 tendopoli presenti sul territorio nazionale Ma la peculiarità del modello dell’Uganda sta nel fatto che ogni famiglia riceve, oltre a 12 chili di cibo al mese per persona e supporto sanitario gratuito, anche un lotto di terra di 900 metri quadrati in cui coltivare e costruire il proprio alloggio.
L’obiettivo del governo di Kampala è infatti quello di accompagnare i rifugiati verso la completa autosufficienza e il pieno inserimento nella società: per questo viene anche concessa la libertà di circolazione su tutto il territorio nazionale; inoltre, una legge del governo centrale ha voluto che il 30% degli aiuti internazionali sia destinato ai territori ospitanti e ciò ha permesso che nelle zone dove sono ospitati i profughi venissero create nuove infrastrutture, di cui beneficiari sono anche i cittadini ugandesi. Un modello unico a livello planetario che Gli Occhi della guerra hanno raccontato con il documentario e reportage “Despina, storie dall’esodo”.
Oggi però il modello d’accoglienza ugandese sta affrontando un problema che non aveva preventivato. La deforestazione. Ancora una volta una mancanza di attenzione nei confronti dell’ambiente sta ripercuotendosi sull’uomo provocando una pluralità di problemi che rischiano di far vacillare il sistema dell’accoglienza realizzato da Kampala. Il legname viene utilizzato dai rifugiati per costruire le abitazioni e per produrre il carbone e stando a quanto riportato dal quotidiano britannico The Guardian il consumo medio di legname al giorno è di 1,6 kg per persona tra i profughi.
Joël Boutroue, rappresentante dell’Unhcr, L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, ha affermato che l’insediarsi dei rifugiati sta causando danni ambientali estesi. “Un rifugiato taglia circa 20 alberi all’anno. La comunità locale vede il proprio ambiente sempre più impoverito “. Il disboscamento intensivo sta portando quindi a scontri tra la comunità ospitante e quella dei profughi e già ad ottobre 2018, un report stilato dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite aveva messo in allerta su questo rischio, scrivendo: “la concorrenza per le risorse disponibili potrebbe diventare una fonte di tensione tra i rifugiati e le comunità ospitanti”.
La condivisione delle risorse e lo sfruttamento del legname stanno oggi quindi mettendo a dura prova l’armonia tra le comunità e l’ospitalità che gli ugandesi che vivono nelle aree dove sono insediati gli sfollati hanno dimostrato negli ultimi anni. Un problema che deve essere risolto concretamente e nel minor tempo possibile per evitare che gli scontri si intensifichino e il modello d’accoglienza messo in campo dall’Uganda possa scricchiolare .
L’Unhcr ha così deciso di intervenire con un importante intervento di piantumazione. L’Alto Commissariato per i Rifugiati ha annunciato che provvederà a piantare oltre 20 milioni di alberi entro la fine del 2019 e Boutroue ha così commentato: ”Piantare alberi è una sorta di attività di peace-keeping non in senso militare. Ma nel senso di mantenere l’armonia all’interno delle comunità”.
Ma oltre a provvedere con la piantumazione è necessario anche che i profughi vengano dotati di un combustibile che sostituisca il carbone perché se no il disboscamento continuerà e a far notare il problema è stato Thijs Van Laer, direttore dell’ International Refugee Rights Initiative che ha così commentato, sempre sulle pagine del quotidiano londinese: ”il rischio che nonostante tutto la deforestazione possa continuare c’è, perché i rifugiati non ricevono nulla da usare come combustibile e quindi cercano legna da ardere per preparare i loro pasti”.