Pugno duro dell’Indonesia contro i bracconieri stranieri accusati di prosciugare illegalmente le risorse ittiche presenti nelle acque indonesiane. Jakarta non ha più intenzione di restare inerme e, per bocca del ministro della Pesca, Susi Pudjiastuti, ha annunciato tolleranza zero. La maggior parte delle esportazioni illegali di pesce coinvolge navi di proprietà cinese; per questo motivo nei mesi scorsi ci sono state tensioni diplomatiche con la Cina.

Un settore fondamentale per Jakarta

L’industria della pesca è fondamentale per l’economia dell’Indonesia. I profitti annuali derivanti da questa attività sono ingenti. Basti pensare che le 4.500 navi indonesiane con una capacità di carico compresa tra le 30 e le 100 tonnellate fruttano un paio di milioni di dollari per ogni singolo carico, mentre per le imbarcazioni da 100-200 tonnellate il guadagno può arrivare fino a 4 milioni. La pesca da queste parti costituisce quasi l’8% del Pil; il valore negli ultimi tre anni è salito da 7,3% a 7,9% e l’Indonesia è diventata il secondo produttore al mondo di pesca e acquacoltura.

Tolleranza zero contro i bracconieri

L’idillio è minacciato dai pescherecci stranieri, che sempre più spesso entrano nelle acque indonesiane per fare razzia di pesci, oppure aspettano al confine per prelevare i carichi preparati da bracconieri locali. La signora Pudjiastuti ha bandito questi pescherecci dalla zona di competenza di Jakarta ma la piaga persiste. A poco sono valse le catture delle navi “pirata” e la loro conseguente distruzione, perché i bracconieri trovano sempre nuovi stratagemmi.

Navi cinesi nel mirino

Gran parte dei mezzi prelevati dalle autorità indonesiane battono la bandiera di Pechino. I cinesi, dopo il divieto, o hanno continuato a fare incursioni illegali o si sono affidati alla tecnologia, per esempio usando sistemi satellitari per rilevare la densità dell’acqua e capire quando e dove poter catturare i branchi di tonni prima del loro ingresso in Indonesia. Questi bracconieri, inoltre, disattivano i loro transponder, cambiano l’identità del servizio mobile marittimo e registrano le navi in un altro Stato per agire in incognito.

Un possibile casus belli

La Cina ha sempre negato di avallare le scorribande illegali delle navi cinesi, eppure molto spesso queste imbarcazioni hanno operato in compagnia di motovedette della Guardia costiera e Marina cinese. Pechino considera il Mar Cinese Meridionale zona di sua competenza e spesso ha avuto numerose dispute con i Paesi asiatici situati in questa zona caldissima. La pesca in acque indonesiane è l’ennesimo casus belli – anche se parliamo di guerra diplomatica, almeno per il momento – che alimenta ulteriormente la tensione. L’Indonesia è pronta a difendere i propri confini schierando le navi della marina a pattugliare quello che Jakarta ha rinominato Mare del Nord Natuna.

Pechino nega ogni accusa

Il ministro Pudjiastuti nei mesi scorsi si era rivolto alla Cina senza giri di parole: “Quello che stanno facendo nelle nostre acque non c’entra niente con la pesca, è un crimine organizzato transnazionale”. L’Indonesia ha provato a parlare con Pechino ma i due governi non sono ancora riusciti a trovare un punto d’incontro: “Abbiamo avuto molti disaccordi con la Cina su questioni di pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata. Loro non sono d’accordo sul fatto che le loro azioni si definiscono crimini transnazionali”. Il governo cinese ha più volte ribadito di usare tolleranza zero e punizioni esemplari contro quelle imbarcazioni che violano le leggi della pesca d’alto mare.





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