Nel marzo del 2010 buona parte del Vecchio Continente è rimasto bloccato. Merci ferme in aeroporto, persone bloccate nelle dogane prima di salire in aereo. Non c’era stata però alcuna pandemia. L’incubo per i viaggiatori europei proveniva da un vulcano islandese dal nome impronunciabile, l’Eyjafjöll. La sua eruzione ha spinto le ceneri sui cieli d’Europa, bloccando a terra gli aerei. Per la prima volta il mondo occidentale ha toccato con mano la precarietà di sistemi di trasporti basati quasi interamente sul sistema aereo. Una doccia fredda in un’epoca di grande espansione dei low cost. Nel 2020 il coronavirus ha dato nuovamente ampia ed ulteriore evidenza a questa situazione.

Certo, l’epidemia ha bloccato tutti gli spostamenti specialmente durante i primi lockdown e non solo quelli aerei. Al tempo stesso però ha messo in grave crisi il settore. Molte compagnie rischiano di non sopravvivere, molti velivoli rischiano di rimanere per sempre a terra questa volta per motivi economici. Appare urgente dunque investire su forme alternative di trasporto di massa. Modi in grado di coniugare le esigenze del mondo attuale con quelle della sostenibilità ambientale. Una risposta potrebbe arrivare da un mezzo considerato a un certo punto “passato” in Italia, ossia il treno. Il nostro Paese negli anni del boom economico ha tagliato molte linee, ha chiuso diverse tratte. Oggi però, da noi come nel resto del continente, la situazione potrebbe mutare.

Possibile la nascita di viaggi in treno “low cost?”

L’Italia ha riscoperto il treno in chiave turistica negli ultimi dieci anni. Molte tratte prima soppresse sono state riavviate per ospitare visitatori e offrire loro modi alternativi per ammirare paesaggi e beni archeologici. È il caso della ferrovia dei Templi ad Agrigento, così come della cosiddetta “transiberiana d’Italia” in Abruzzo, del treno del Bernina o delle ferrovie turistiche del Lago d’Iseo e della Valcamonica in provincia di Brescia. Ma oggi la riscoperta potrebbe essere anche commerciale. Prima del 2020 chi sceglieva gli intercity notte lo faceva per paura di volare e quindi come alternativa.

Adesso il treno potrebbe diventare la prima scelta a svantaggio degli aerei. Lo scenario non è futuristico e né utopistico. In Europa è già una realtà. È previsto infatti dal 2022 l’avvio di viaggi notturni quotidiani tra Stoccolma e Bruxelles: si viaggerà di notte, con gli utenti che potranno comodamente dormire mentre attraversano in poche ore due punti distanti del Vecchio Continente.

Stesso discorso con i treni tra Parigi e Rijeka o tra Zurigo e Barcellona. I vantaggi sono molteplici. Ci si impiega qualche ora in più rispetto all’aereo, ma si arriva dritti nel cuore delle più importanti città da raggiungere e, viaggiando di notte, non si perdono ore lavorative. I prezzi nel prossimo decennio tenderanno ad abbassarsi per via dell’aumento dell’offerta. C’è poi il discorso ambientale: si inquina di meno, il treno è il mezzo green per eccellenza. Dunque il percorso di transizione ecologica con il ferrato può diventare sempre più concreto. Nel Recovery Plan per l’Italia non sono previsti capitoli di spesa per nuove autostrade. Segno di come l’indicazione più chiara riguarda l’implementazione degli investimenti sulle rotaie. Nei prossimi anni viaggeranno più treni e meno aerei. Difficile solo a pensarlo appena pochi anni fa.

Infrastruttura è destino

Lo sviluppo infrastrutturale, del resto, plasma le direttrici economiche, strategiche e commerciali di una nazione. L’era del treno ebbe, nel contesto nazionale, una data precisa di fine nel 4 ottobre 1964. In una domenica di festa dedicata a San Francesco patrono d’Italia a Firenze  il presidente del Consiglio dei ministri, Aldo Moro inaugurò ufficialmente l’Autostrada del Sole dando un decisivo assist al decollo dei trasporti via auto e camion sulle arterie principali del Paese. La costruzione di grande arterie autostradali ebbe una ragione chiara nell’assecondare il boom economico, l’aumento della mobilità e dei consumi di beni di massa e i contatti interni al Paese, ma nel corso dei decenni si è rivelata fortemente impattante sul declino del patrimonio infrastrutturale ferroviario del Paese. Forse l’unico settore in cui le conseguenze del miracolo economico sono state, facendo una tara, negative.

Il Recovery Fund e le necessità imposte della pandemia possono, in tal senso, rappresentare un punto di svolta. Lo ha ben compreso il governo di Mario Draghi che nominando Nicoletta Giadrossi e Luigi Ferraris ai vertici delle Ferrovie dello Stato ha voluto blindare nelle mani di super-manager esperti un comparto decisivo per lo sviluppo del Paese negli anni a venire: circa 28 miliardi di euro complessivi dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza riguardano le infrastrutture ferroviarie o la mobilità sostenibile (24,77 miliardi del Pnrr e 3,2 miliardi del Fondo complementare), una cifra paragonabile a una vera e propria manovra finanziaria; Fs è pronta ad attuare un piano di potenziamento delle infrastrutture nazionali destinato a produrre sviluppo, valore aggiunto e a generare, contando l’indotto, fino a 130 mila posti di lavoro. A questi fondi e a queste cifre vanno aggiunti gli impatti legati agli stanziamenti decretati per il trasporto intermodale, vicini ai 3 miliardi e mezzo di euro.

L’infrastruttura plasmerà il destino della connettività nazionale. Nessuna area d’Italia sarà dimenticata e gli stanziamenti che il governo Draghi ha decretato distribuiti su tutto il territorio della penisola. I trasporti ad alta velocità al Sud (Napoli-Bari, la Palermo-Catania-Messina e la Salerno-Reggio Calabria) riceveranno quasi 5 miliardi di euro, quelli di collegamento per l’aggancio dell’Italia del Nord alle reti europee Ten-T (sulle tratte Brescia-Verona-Vicenza, Liguria-Alpi e Verona-Brennero) e al cuore dell’economia europea 8,5 miliardi. Infine, ci sarà spazio anche per il potenziamento dei collegamenti “diagonali” transappenninici, per connettere anche sull’asse Est-Ovest, faglia spesso dimenticata del Paese, l’Italia.  Rientrano in questa strategia i piani per le connessioni Roma-Pescara, Orte-Falconara e Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia.

Ferrovie e sostenibilità

L’impatto sistemico del rilancio delle ferrovie ha anche una conseguenza non secondaria sulla sostenibilità ambientale. I treni del futuro saranno ad impatto sempre minore sull’ambiente e saranno strutture di applicazione dei più moderni ritrovati tecnologici. L’innovazione tecnologica in materia nel settore ferroviario è un fiume in piena e si concentra nella ricerca e nell’applicazione dell’alimentazione a idrogeno dei convogli. Nel contesto comunitario l’iniziativa Connecting Europe Facility 2021-2027 mira a finanziare, con 25 miliardi di euro del bilancio comunitario, progetti capaci di coniugare il potenziamento delle reti a una maggiore sostenibilità.

Raimondo Fabbri, analista della Fondazione Farefuturo, ha scritto per l’Ispi che anche in Italia ci si sta preparando a questa rivoluzione. “Alstom e Ferrovie dello Stato Italiane (in collaborazione con SNAM) rappresentano solo alcuni esempi di campioni nazionali nel trasporto su rotaia che mirano al raggiungimento degli obiettivi diminuzione delle emissioni di gas serra, sostenendo contemporaneamente crescita economica e creazione di posti di lavoro”. In questo contesto gli impatti potranno trasmettersi anche al trasporto urbano e locale: il citato tratto della Valcamonica è in questo caso un esempio anticipatore e, proprio grazie ad Alstom, dal 2023 saranno operativi nelle vallate bresciane sei treni a idrogeno affidati in locazione a Trenord. La ferrovia invita a coniugare lo stimolo a pensare globale, ovvero a immaginare strategie di medio-lungo termine capaci di unire crescita e sostenibilità, e agire locale, permettendo un’applicazione democratica e sistemica delle innovazioni e dei nuovi ritrovati tecnologici. Citando Francesco Guccini, l’innovazione, le nuove fonti energetiche e la corsa alla sostenibilità, dopo il Covid-19, potranno trasformare nuovamente il treno in un “mito di progresso lanciato sopra i continenti”.

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