La scelta tra combustibili fossili ed energia pulita attanaglia anche il Medio Oriente, che inizia a meditare su una svolta green. Tuttavia, questa operazione potrebbe implicare l’uso civile dell’energia nucleare in un’area, quella del Golfo, che di tensioni vive dalla notte dei tempi. L’idea viene dagli Emirati Arabi Uniti che, pur avendo annunciato il loro programma da anni, il prossimo marzo saranno in grado di attivare il primo dei quattro reattori nucleari nella regione di Al Dhafra di Abu Dhabi. Una notizia che ha scatenato la fantasia sulle peggiori distopie militari possibili oltre che il timore di una Chernobyl del deserto.
Un reattore non sicuro?
La centrale nucleare degli Emirati Arabi Uniti si chiamerà Barakah, “benedizione divina”. È così che il ministro di Stato degli Emirati Arabi Uniti Sultan bin Ahmed Sultan Al Jaber ha reso pubblica la notizia in occasione della Settimana della sostenibilità di Abu Dhabi, dichiarando alla stampa che il suo sarà il primo Paese a produrre energia pulita nella regione. L’impianto di energia nucleare di Barakah si trova a circa 53 chilometri a ovest-sud-ovest della città di Ruwais. I quattro reattori nucleari di progettazione APR1400 dell’impianto forniranno fino al 25% del fabbisogno di elettricità degli Emirati Arabi Uniti una volta pienamente operativi. La costruzione dell’impianto è iniziata nel luglio 2012, a seguito del ricevimento della Licenza di costruzione da parte dell’Autorità federale per il regolamento nucleare (Fanr) e di un certificato di non obiezione da parte del regolatore ambientale di Abu Dhabi, l’Agenzia per l’ambiente – Abu Dhabi (Ead): problemi con l’addestramento del personale locale ne hanno ritardato più volte l’accensione. Lo stabilimento di Barakah è una parte importante degli sforzi degli Emirati Arabi Uniti per diversificare le sue fonti energetiche e fornirà energia pulita ed efficiente a case, aziende e strutture governative riducendo al contempo l’impronta a carbone della nazione. Una volta pienamente operativo, si prevede che l’impianto di energia nucleare di Barakah risparmierà negli Emirati Arabi Uniti fino a 21 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio ogni anno, secondo quanto dichiarato dalla Emirates Nuclear Energy Corporation.
Ma i pareri sono discordi circa l’uso e i rischi che questa “benedizione divina” potrà scatenare, da una corsa agli armamenti nucleari alla catastrofe ambientale. L’associazione no profit Nuclear Consulting Group ha messo in evidenza una miriade di rischi inerenti al progetto di Barakah. Tra le notizie più inquietanti, il fatto che l’azienda che ha vinto l’appalto per la costruzione di Barakah – Korea Electric Power Corporation (Kepco) – ha concluso l’accordo con un’offerta “incredibilmente bassa, circa il 30% inferiore alla prossima offerta più economica”. Un prezzo stracciato reso possibile grazie alla mancanza di caratteristiche chiave per la progettazione della sicurezza normalmente previste per i nuovi reattori europei ma mancanti in quelli costruiti da Kepco. Tali caratteristiche includono un cosiddetto core catcher utile ad impedire al nocciolo del reattore nucleare di violare l’edificio di contenimento in caso di fusione e altre difese per evitare un significativo rilascio di radiazioni in caso di incidente o attacco intenzionale alla struttura. A ciò si aggiunge la scoperta di crepe in tutti e 4 gli edifici di contenimento del reattore e l’installazione di valvole difettose, che mettono in dubbio la capacità degli Emirati Arabi Uniti di fornire un’adeguata regolamentazione nucleare.
Un pericolo per la regione
Gli Emirati Arabi Uniti sono l’unico paese ad aver acquistato un reattore Kepco. Ma se questo si dimostrasse incapace di contenere ricadute radioattive risultanti da un incidente o un attacco, il problema sarebbe non solo degli Emirati. Le ricadute radioattive viaggiano e i vicini degli Emirati Arabi Uniti stanno già esprimendo le proprie preoccupazioni. Ad aprire il valzer delle proteste il Qatar che, nei mesi scorsi, aveva inviato una lettera all’Agenzia internazionale per l’energia atomica affermando che una fuoriuscita radioattiva accidentale potrebbe raggiungere la sua capitale, Doha, entro cinque, massimo tredici ore – e una perdita di radiazioni potrebbe devastare l’approvvigionamento idrico del Golfo a causa della forte dipendenza della regione dagli impianti di dissalazione.
Le relazioni tra il Qatar e il suo vicino sono già tese dopo che gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, l’Egitto e il Bahrein hanno rotto i legami diplomatici, commerciali e di trasporto con il governo di Doha nel giugno 2017, con l’accusa per il Qatar di sostenere il terrorismo internazionale e il governo di Teheran. Doha ritiene che la mancanza di qualsiasi cooperazione internazionale con gli Stati limitrofi in materia di pianificazione delle catastrofi, salute e sicurezza e protezione dell’ambiente costituisca una grave minaccia per la stabilità della regione e del suo ambiente: è questo che affermava la lettera del ministero degli Affari esteri del Qatar all’ex direttore generale dell’Aiea Yukiya Amano, lo scorso marzo.
Il governo del Qatar afferma che la tecnologia non è sufficientemente testata in quanto vi è solo un altro reattore commerciale di questo tipo in funzione, in Corea del Sud. Nonostante l’establishment emiratino insista sull’intento pacifico delle proprie ambizioni nucleari, abbondano le preoccupazioni per un’eventuale effetto domino nucleare date le fratture geopolitiche tra i vicini paesi del Golfo, cresciute esponenzialmente dopo l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani. Il timore più grande è che i gruppi belligeranti operativi nell’area possano iniziare a considerare anche i reattori come obiettivo da colpire, unitamente ai rischi di intercettazione dei flussi di uranio e di rifiuti pericolosi da parte di milizie armate non convenzionali.