A quasi un anno dal diffondersi della nube radioattiva originatasi molto probabilmente dall’esplosione durante un tentativo di recupero di un missile da crociera a propulsione nucleare 9M730 Burevestnik (SSC-X-9 Skyfall in codice Nato) avvenuta lo scorso 8 agosto, Svezia, Finlandia e Norvegia hanno registrato durante la scorsa settimana un aumento degli isotopi radioattivi nell’atmosfera attorno alla penisola scandinava.
La nube, di cui al momento non se ne conosce l’origine, ha viaggiato, oltre che sulla parte meridionale della Scandinavia, nei cieli della Russia, Bielorussia e dei Paesi Baltici e dai primi dati forniti dalle stazioni Ims (International Monitoring System) svedesi è composta da alcuni isotopi radioattivi quali cesio-134 e 135, rutenio-103, iodio-131 e cobalto-60.
L’agenzia governativa svedese per la sicurezza delle radiazioni ha affermato tuttavia che “i livelli misurati sono così bassi che non rappresentano alcun pericolo per le persone o l’ambiente”.
La nube è stata rilevata tra il 22 ed il 23 giugno scorso e la fonte resta ancora oggi ignota, sebbene secondo quanto riferisce Lassina Zerbo, segretario esecutivo della Cbto (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization), sarebbe da ricercarsi in un impianto civile. In un tweet, infatti, l’esperto ha affermato che “questi isotopi provengono molto probabilmente da un impianto civile” legata in qualche modo alla produzione di energia nucleare.
La catena di stazioni Ims gioca un ruolo centrale nel monitoraggio dell’adempimento degli obblighi sul trattato che mette al bando gli esperimenti nucleari. La verifica di tali obblighi avviene attraverso 321 stazioni di rilevamento di varia natura sparse per il globo.
Queste utilizzano quattro diversi sistemi per individuare i possibili esperimenti atomici: sensori sismici, ad infrasuoni, idroacustici e di rilevamento dei radionuclidi supportate da un totale di 16 laboratori per un’analisi di dettaglio della tipologia dei radionuclidi emessi.
Attraverso questa suite di sensori è possibile determinare e localizzare le eventuali esplosioni atomiche intorno al globo: le varie stazioni, infatti, registrano le onde d’urto delle esplosioni sotterranee, quelle delle esplosioni subacquee e in atmosfera e individuano l’eventuale fallout (ricaduta) radioattivo rilasciato.
Durante la “crisi nucleare” dell’agosto scorso due stazioni di rilevamento site in Russia, prossime al luogo dell’incidente (Severodvinsk) risultavano malfunzionanti tanto che si pensa fossero state appositamente “spente” per insabbiare l’incidente nella più classica delle tradizioni “sovietiche”.
Ad oggi, nonostante non si sappia ancora l’origine della nube radioattiva, possiamo però escludere che si tratti di un test del ben noto missile Burevestnik. Per il momento non risultano infatti lanci, o collaudi in banco prova del motore nucleare e soprattutto la natura degli isotopi fa propendere più verso un qualche incidente in un impianto di riprocessamento di combustibile atomico.
L’anno scorso, infatti, le tracce isotopiche erano diverse: la nube, così come è stata captata dagli strumenti di rilevamento, era composta da stronzio-91, bario-139, bario-140 e lantanio-140.
Questi isotopi si formano nel nocciolo di un reattore nucleare come sottoprodotti della reazione di fissione che genera energia, e sarebbero il tipo di particelle radioattive che verrebbero rilasciate in caso di esplosione del nocciolo. In quella occasione però mancavano altri due prodotti ovvero lo iodio-131 e gli isotopi del cesio, che invece sono presenti nella nube di questi giorni. Pertanto ad agosto scorso con ogni probabilità l’esplosione che ha causato la morte di cinque tecnici della Rosatom ha danneggiato l’involucro del reattore, piuttosto che il suo nocciolo, generando una perdita di gas nobili – prodotti di fissione – che nel periodo di tempo impiegato per raggiungere le stazioni di rilevamento sono decaduti negli elementi osservati.
Stante l’elevata presenza di isotopi di cesio e iodio nella nube radioattiva di questi giorni si può quindi pensare che ci sia stato un qualche tipo di incidente ad un impianto di riprocessamento di combustibile atomico, in quanto sappiamo che tali elementi sono responsabili per la maggior parte della radiazione gamma generata, in quanto la loro concentrazione è maggiore come effetto del decadimento del combustibile nucleare esausto.
Non è comunque da scartare la possibilità di un incidente minore ad una centrale: l’analisi della distribuzione della nube e dei venti prevalenti potrebbe aver individuato l’origine nell’impianto bielorusso di Astravets, la cui costruzione è ripresa nel 2016 dopo che venne sospesa a seguito dell’incidente a Chernobyl, che ha visto la consegna di materiale fissile il mese scorso. Da parte russa si nega che ci siano stati problemi con le sue due centrali situate nella zona interessata, ovvero quelle a San Pietroburgo e a Murmansk. Secondo una fonte anonima della Tass che lavora per l’agenzia di Stato per l’energia nucleare (la Rosenergoatom) riportata anche dal New York Times, i reattori in questione starebbero operando “nella norma, con livelli di isotopi registrati nella norma”.
Il mistero della nube radioattiva, quindi, non è ancora risolto.