Nei mesi scorsi la Nasa si è soffermata su un fatto inaspettato quanto positivo per il nostro pianeta: la terra, oggi, è un luogo più verde rispetto a 20 anni fa. Ma non è finita qui, perché gli attori che hanno consentito questo miracolo ecologico sono gli stessi che nel recente passato hanno contribuito a inquinare il mondo: Cina e India. Mentre l’Amazzonia brucia e l’Occidente accusa Pechino e Nuova Delhi di contribuire al danneggiamento dell’ecosistema con fumi neri, scarichi abusivi, deforestazioni e noncuranza dell’ambiente, è sui territori indiani e cinesi che sorgono nuovi polmoni verdi. Secondo quanto riportato da Forbes, i due paesi citati sono i responsabili del più grande inverdimento del pianeta degli ultimi due decenni. Il motivo è da ricercare nelle politiche ambientaliste portate avanti dai rispettivi governi, che hanno attuato ambiziosi programmi che comprendono la piantagione di alberi e severe pene per chi non rispetta l’ambiente.

Il cambio di passo dell’India

L’11 luglio 2016, in India, sono stati piantati quasi 50 milioni di alberi in meno di 24 ore grazie al lavoro volontario di 800 mila persone dell’Uttar Pradesh. Il governo ha investito 6 miliardi di dollari per rimboschire il paese, riforestare il 12% dei suoi territori e ridurre l’inquinamento. Nello stesso anno e nell’ambito dell’Accordo sul clima di Parigi, l’India ha designato 6,2 miliardi di dollari per estendere la copertura forestale del paese a 235 milioni di acri entro il 2030. Piantare gli alberi è certo un’azione a impatto ma, da sola, potrebbe non bastare per risolvere tutti i problemi dell’India: le piante devono infatti essere monitorate con attenzione e necessitano di cure adeguate. In ogni caso, l’interesse mostrato dal governo indiano nei confronti dell’ambiente è già un importante primo passo per la riduzione dell’inquinamento globale, considerando che l’Elefante conta 14 delle prime 15 città più inquinate al mondo.

Le politiche ambientali della Cina

La Cina ha affrontato il problema inquinamento in modo ancor più radicale. Da quando Xi Jinping è diventato presidente del paese più popoloso al mondo, Pechino la questione ambientale ha guadagnato posizioni nell’agenda di governo. D’altronde l’opinione pubblica, formata da individui sempre più ricchi, inizia a mal digerire gli episodi di scarsa tutela ambientale. Proprio per evitare un risentimento popolare dal basso, le autorità hanno deciso di dare un taglio all’inquinamento. E allora, tanti saluti alle fabbriche più inquinanti, all’utilizzo del carbone per riscaldare le abitazioni private e delle auto tossiche. Il cosiddetto “sogno cinese” coniato da Xi mira a creare un paese perfetto dall’interno e invidiabile dall’esterno, dove la crescita economica e il benessere dei cittadini devono essere ancorati a una ferrea cultura ecologica. La tutela dell’ambiente è dunque diventata un elemento centrale della Cina del XXI secolo per due motivi: per tenere a bada le nuove esigenze della popolazione ma soprattutto perché sarebbe stato impossibile continuare a crescere senza considerare l’inquinamento. Una delle pietre miliari della politica cinese è la Legge per la protezione ambientale varata nel 2015, che prevede il pugno duro contro i funzionari pubblici e i trasgressori responsabili di non tutelare l’ambiente. Se perfino Cina e India sono riuscite a inserire la lotta all’inquinamento ai primi posti tra le priorità politiche, vuol dire che un’inversione di tendenza è possibile anche in Occidente.

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