Sono tante le ferite che negli ultimi anni attanagliano il Libano: la crisi economica e politica, il dilagare della corruzione, le proteste di piazza fino al dramma dell’esplosione di circa un mese fa. Ma in cima alle priorità della ricostruzione libanese resta la grave crisi idrica che paralizza tutto il resto.

Acqua scarsa, acqua inquinata

Beirut e tutto il resto del Libano pagano lo scotto di anni di inefficienze, sprechi, corruzione che hanno mancato di garantire servizi fondamentali come acqua potabile sicura, corrente elettrica a ciclo continuo e un adeguato servizio di smaltimento dei rifiuti. Tutte carenze che non hanno fatto altro che moltiplicare i rischi di crisi sanitarie gettando benzina sul fuoco delle proteste. Stime recenti evidenziano che il 20% della popolazione libanese non è collegata all’acqua corrente, mentre la restante parte non può comunque fare affidamento su erogazioni stabili e quotidiane, spesso ricevendo accesso solo a 1-3 ore di acqua al giorno: la popolazione quindi ricorre a costose acque in bottiglia e in cisterna, costo che colpisce in modo sproporzionato i più poveri.

A questo si aggiungono gravi problemi di contaminazione delle acque: nel 2017 l’acqua libanese era seconda solo a quella statunitense per contaminazione da sostanze plastiche. Il quadro già grave, segnato dall’assenza del più elementare dei diritti, diventa una catastrofe nella cornice internazionale dell’emergenza Covid. Ad aggravare ulteriormente la situazione sanitaria, la presenza di un milione e mezzo di rifugiati siriani in territorio libanese.

Mentre il Libano è ricco d’acqua rispetto ad altri Paesi vicini, le risorse idriche rinnovabili pro capite del Paese sono al di sotto della soglia di povertà idrica, fissata a 1.000 metri cubi pro capite all’anno. Solo una parte dell’acqua di piena dei fiumi può essere catturata nelle dighe e alcune acque sotterranee fluiscono inutilizzate verso il mare. Sorgenti e acquiferi sono oggi di gran lunga le principali fonti di approvvigionamento di acqua potabile: ne è un esempio, infatti, la città di Sidone i cui pozzi sono in grado di rifornire agevolmente la città, ben oltre il suo fabbisogno. Ma si tratta di una rarità. Queste fonti, inoltre, sono esposte al rischio salinizzazione per via dell’eccessivo pompaggio e subiscono la concorrenza di migliaia di pozzi illegali aperti qui e lì senza criterio.

La grossa difficoltà del Libano è quella che hanno dovuto affrontare le principali società contemporanee: separare i flussi di acqua potabile e quello dei liquami al fine di garantire alla popolazione acqua potabile ed uno smaltimento efficiente delle acque reflue. Le risorse idriche sono inquinate dagli scarichi domestici e dalle fosse biologiche, non sono sottoposte né a clorazione tantomeno a filtraggio o diluizione. Inoltre, fertilizzanti e pesticidi, rifiuti ospedalieri, batteri coliformi e benzine fanno il resto. Una situazione, questa, che secondo uno studio dell’UNICEF riguarda quasi il 70% delle acque nazionali (si pensi al caso del fiume Ghadir, ricettacolo di metalli pesanti).

Il caso della diga di Bisri

Sul territorio libanese insistono diversi progetti legati all’acqua potabile e al trattamento delle acque reflue. L’Arabia Saudita, ad esempio, è intervenuta su Sidone e Sour, l’Unione Europea ha finanziato diversi progetti nel Paese come anche Giappone e Stati Uniti.

Il progetto della Bisri dam andrebbe a beneficio di oltre 1,6 milioni di persone che vivono nella “Grande Beirut” (di cui 460.000 vivono con meno di 4 dollari al giorno) che avrebbero accesso ad un servizio di approvvigionamento idrico senza più costi aggiuntivi per fonti d’acqua alternative. La nuova rete idrica permetterebbe di ridurre la pressione sulle acque sotterranee e diminuire l’intrusione di acqua salata costiera. Il progetto è uno dei più grandi della Banca mondiale nel Paese: un prestito di 474 milioni di dollari assieme al sostegno della Banca islamica per lo sviluppo e al governo del Libano, che avrebbe dovuto finanziare parallelamente la diga.

Il progetto, però, è stato bloccato. Lo scorso 5 settembre la Banca mondiale ha annullato l’erogazione del prestito annunciandolo con una nota, sottolineando ripetutamente la necessità di “un processo consultivo aperto, trasparente e inclusivo”. Inizialmente approvata dal governo libanese nel 2015 per un costo totale di 617 milioni di dollari, la diga aveva da tempo suscitato critiche da parte degli ambientalisti, la cui voce si è fatta più minacciosa dopo la tragedia del porto di Beirut. La diga dovrebbe essere costruita su una faglia sismica e gli ambientalisti temono possa incrementare il rischio di terremoti. Così, il progetto aveva avuto una prima sospensione a giugno, per poi essere ridiscusso questo settembre. Secondo la Banca Mondiale il governo libanese, inoltre, non ha risposto circa il relativo piano di compensazione ecologica e sulle disposizioni per le operazioni e la gestione della diga.

Il timore è che il faraonico piano idrico possa andare ad impantanarsi nelle consuete dinamiche della politica locale, trasformandosi in una miniera d’oro per pochi o, peggio ancora, in una cattedrale nel deserto.

Ripartire dall’acqua

Il XXI secolo è e sarà segnato dai conflitti idrici più che da quelli petroliferi. Il Libano lo sa bene essendo una nazione penalizzata dalla conformazione geografica, dalla geopolitica e dalla storia. È indubbio, però, che buona parte delle difficoltà idriche del Paese nascono dalla cattiva politica che ha fatto scempio di quella che un tempo fu la “Svizzera del Medio Oriente”.

Nel prossimo futuro il Libano, come tutti i suoi vicini, dovrà ripartire dai bisogni primari, come l’acqua, per costruire un futuro decorso. Dovrà lottare contro le devianze del settarismo, tessere buone relazioni internazionali con i Paesi che offrono aiuto ma anche con i nemici storici. Presto o tardi sarà tempo di dialogare anche con i vicini più scomodi al fine di giungere, sotto i migliori auspici internazionali, ad un piano ragionato di condivisione delle acque. Prima che i giovani, attanagliati dalla fame di futuro e di acqua lascino per sempre il Paese dei cedri.

 

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