Il Green Deal è il mastodontico piano ambientale dal valore di mille miliardi di euro varato dall’Unione Europea con l’intenzione conclamata di salvare il clima. È stato pensato e approvato dalla Commissione europea guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen. Calcolatrice alla mano, prevede 10 miliardi di investimenti annuali da qui al 2030.
Il sogno di Bruxelles è raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni entro il 2050, e il Green Deal può essere considerato una sorta di Bibbia da seguire alla lettera per tagliare il traguardo prefissato. Sfogliando le pagine del nuovo libro sacro dell’Europa notiamo però alcune incongruenze.
Come sottolinea il quotidiano Libero, il progetto verde non è esente dai soliti favoritismi, gli stessi che hanno sempre contraddistinto ogni politica comunitaria portata avanti dall’Ue. Solitamente a guadagnarci sono sempre gli stessi, pochi ,eletti (Germania e Francia); a rimetterci pure (Italia e Paesi dell’area mediterranea). A questo proposito vale la pena spiegare meglio in cosa consiste questo benedetto Green Deal per svelare una vera e propria beffa. Un rischio che per il nostro Paese non è da sottovalutare visto che, come ricordato da Massimiliano Salini, “l’Italia è già leader nella sostenibilità ambientale con emissioni di gas serra che, in rapporto al Pil, sono più basse del 21% rispetto alla media Ue”.
Il Green Deal europeo
Dei mille miliardi di euro stanziati, il 10% sarà destinato al cosiddetto Just Transition Fund, un fondo di transizione energetica incaricato di attuare la riconversione economica delle zone europee maggiormente dipendenti dai carburanti fossili.
“Nel nostro piano di investimenti daremo la priorità a quei settori e a quelle regioni che dovranno affrontare le sfide più difficili e dovranno fare gli sforzi maggiori”, aveva spiegato von der Leyen qualche settimana fa.
A rigor di logica, e prendendo per buone le parole della tedesca, il fondo citato dovrebbe dunque dare una mano ai Paesi europei più poveri, nonché a quei governi che faranno più fatica ad abbracciare la svolta green sbandierata dai gretini perché ancora dipendenti da vecchie dinamiche energetiche.
Nella lista dei beneficiari troviamo non a caso Polonia e Repubblica Ceca, i cui fabbisogni energetici sono ancora ancorati alle centrali a carbone. Ma che cosa c’entra con loro la ricchissima Germania?
Germania avvantaggiata
In termini assoluti Berlino è la maggiore produttrice di energia elettrica proveniente da centrali a carbone di tutta l’Europa. In un confronto con Varsavia, le stime tecniche parlano di una produzione tedesca pari a 158 TWh da lignite e 118 TWh da carbone pesante, a fronte della Polonia che produce invece 54 TWh da lignite e 79 da carbone pesante.
La Germania ha però un’economia nettamente più florida di quella polacca: non c’è paragone che tenga. Proprio per questo motivo non si capisce perché il governo tedesco debba ricevere queste agevolazioni. D’altronde, visti i suoi conti pubblici, Berlino ha avuto tutto il tempo e la possibilità di convertirsi a sistemi più green. Poco importa, perché la cancelliera Angela Merkel si mangerà la fetta più grande dei 100 miliardi di euro che l’Ue ha intenzione di destinare in “aiuti per le regioni più svantaggiate”.
A quanto pare, quando Bruxelles ha intenzione di risolvere un problema che le sta a cuore, i soldi non mancano mai. Anzi: improvvisamente spariscono termini scomodi come deficit, austerity e regole da rispettare. E la Germania, in mezzo alla mischia, trova sempre il modo per farsi notare. Berlino ringrazia.