La degustazione di una tazzina di caffè è un’abitudine a a cui ben pochi sanno rinunciare. Il rito sociale per eccellenza rischia, però, di diventare sempre più costoso. Le ragioni dell’incremento sono legate al cambiamento climatico che influisce sulla semina ed il raccolto delle piante. Le siccità e le gelate di quest’anno hanno colpito duramente il raccolto di arabica in Brasile e la sottoproduzione ha portato con sé un forte aumento dei prezzi, destinato a riversarsi su tutta la filiera.

I piccoli e medi torrefattori italiani hanno rivisto al rialzo i prezzi delle miscele e presto, forse già da novembre, i rincari si abbatteranno sui consumatori. I grandi rivenditori come Starbucks, che anticipano gli acquisti, non risentiranno della situazione ma il discorso è diverso per gli altri. Così buona parte delle 6 miliardi di tazzine consumate in Italia ogni anno sono destinate a lievitare fino a raggiungere gli 1,30 o 1,50 euro l’una colpendo direttamente i consumatori finali.

I produttori di caffè

I Paesi che producono caffè sono oltre 70 ma 5 di questi esercitano un ruolo dominante: Brasile, Vietnam, Colombia, Indonesia ed Etiopia. Il Brasile ha contribuito ad oltre un terzo della produzione mondiale nel 2019-2020, come riferito dal dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, con 58 milioni di sacche da 60 chilogrammi. Il Brasile è il più grande produttore al mondo dal 1840 e questo settore ricopre un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico del Paese. Il Vietnam è riuscito ad affermarsi recentemente grazie ad una scommessa (vinta) del Partito Comunista negli anni Ottanta.

L’intuizione di focalizzarsi su una nicchia di mercato con una varietà meno pregiata si è rivelata vincente  Nel 2019-2020 la produzione stimata è stata pari a 32.2 milioni di sacche da 60 chilogrammi. La Colombia, invece, ha deciso di puntare sulla qualità ma per diversi anni, a partire dal 2008, ha dovuto combattere contro infestazioni di parassiti nocivi. La produzione nel 2019-2020 è stata pari a 14.3 milioni di sacche da 60 chilogrammi. L’Indonesia non è andata oltre le 10.7 milioni di sacche ma può contare sul supporto di una miriade di piccole fattorie indipendenti. L’Etiopia, infine, è il più grande produttore africano ed ha superato l’Honduras piazzandosi in quinta posizione.

Il cambiamento climatico sta uccidendo il caffè

Una ricerca su larga scala, pubblicata su Science nel gennaio del 2019, è giunta alla conclusione che il 60 per cento delle piante di caffè presenti in natura, 75 su 124, sono a rischio di estinzione. Il declino è favorito dal riscaldamento globale, dalla deforestazione, dalla malattie e dai parassiti e gli scienziati hanno avvisato che senza una strategia di monitoraggio e conservazione la situazione potrebbe degenerare. In alcune regioni i cambiamenti delle precipitazioni hanno influito sulla produzione. Gli eccessi vanno sempre evitati dato che troppa pioggia può portare con sé muffe o interferire con la raccolta mentre quando la pioggia è scarsa si ottengono frutti scadenti.

Nonostante il settore sia dominato da due varietà, le specie selvatiche sono importanti perché aiutano quelle commerciali a migliorare la propria qualità fungendo da libreria genetica e da cavie per la creazione di specie ibride in grado di resistere maggiormente alla siccità o alla malattia. Tutti quelli che sono coinvolti nella filiera del caffè, compresi i piccoli coltivatori ed i grandi produttori, stanno facendo quello che possono per salvare il salvabile. Nelle aree che si stanno riscaldando vengono piantati grandi alberi a copertura delle piccole piante di caffè che si trovano sotto di loro. Secondo alcuni scienziati la produzione dei chicchi di Arabica, molto vulnerabile al cambiamento climatico, potrebbe dover essere spostata interamente nell’Emisfero Boreale. La Coffea stenophyllauna specie di caffè selvatico dell’Africa Occidentale che si riteneva estinta al di fuori della Costa d’Avorio e che è stata riscoperta in Sierra Leone, potrebbe salvare il futuro della bevanda contro il cambiamento climatico dato che cresce in condizioni più calde.