“Il futuro green produrrà costi sociali ed economici”: intervenendo dal palco del teatro Petruzzelli di Bari per la festa della Ripartenza in un confronto con Nicola Porro il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha parlato delle potenziali criticità che la transizione energetica e ambientale immaginata dall’Unione Europea dovrà affrontare. “Vogliamo scegliere quella strada?”, ha aggiunto Giorgetti, ricordando che “avrà un prezzo”. Non si tratta di un’attestazione di distacco dall’esigenza di pensare alla transizione e alle sue dinamiche con approfondita serietà, tutt’altro: Giorgetti, dal cui ministero passano diversi dossier strategici di matrice economico-industriale, ha sottolineato che senza una buona progettazione il Green Deal recentemente annunciato dall’Unione Europea si ridurrà a una somma di proclami.

“Ambiente significa anche crisi di numerosi settori, difficoltà, investimenti costosi. Anche opportunità, sicuramente. Ma a quali costi? Dunque la domanda di fondo resta: è possibile fare in modo che tra crescita e ambiente non ci siano contrapposizioni?”, nota Il Giornale parlando della rassegna organizzata da Porro nel capoluogo pugliese. E di fronte agli scenari in continua evoluzione, queste domande sono ora più che mai opportune.

Analizzando su InsideOver le proposte della Commissione von der Leyen in materia di transizione energetica dopo l’approvazione della legge climatica comunitaria avevamo sottolineato come esse contenessero al contempo un’anima pragmatica ed una fortemente utopistica e mediatica. La vittoria della prima sulla seconda appare conditio sine qua non per realizzare una transizione realmente efficace ed efficiente. Nella consapevolezza che la transizione passerà non attraverso lo smantellamento di settori economici ed industriali consolidati, ma dalla creazione di nuovi comparti e dall’evoluzione di quelli già esistenti grazie ai nuovi paradigmi tecnologici. Giorgetti cita come esempio critico l’automotive, campo in cui d’arbitrio la Commissione vuole proporre di arrivare ad azzerare la vendita di veicoli a combustibile fossile entro il 2035, senza avere idea dei trend di mercato e delle innovazioni.

Quella di Giorgetti è una presa di posizione volta a salvare la transizione, non a ostacolarla: il governo Draghi, che sull’ambiente e la transizione ha puntato fortemente con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha al suo interno nel ministro chiamato a governare la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, un fautore di un approccio capace di mediare strategie di lungo periodo e politiche nell’immediato per coniugare tutela ambientale, progresso economico, difesa della centralità dell’uomo. Cingolani ha avvertito ad evitare che la transizione diventi un “bagno di sangue” per le società e le fasce della popolazione a reddito meno elevato.

Ma la linea Draghi-Cingolani-Giorgetti non è isolata in Europa. La scelta di tagliare del 55% le emissioni come obiettivo-chiave dell’agenda climatica europea ha la sua formazione ispiratrice nel Partito popolare europeo, che ha preferito una linea realista all’utopismo di Verdi e sinistra; in Francia Emmanuel Macron, temendo nuove insorgenze come quella dei Gilet gialli, divampata a causa di un’imposta “verde” sul carburante che toccava le tasche del ceto medio, come nota Repubblica, non vuole che la sua immagine ambientalista offuschi le lezioni prese dalla realtà e si muove dietro le quinte per cambiare le politiche Ue: “Uno dei compromessi possibili secondo Parigi potrebbe essere di autorizzare i veicoli ibridi per una fase di transizione, per esempio fino al 2040”. Una scelta dettata anche dalla volontà di non perdere i dividendi industriali garantiti dal piano France Relance sulla transizione, che nella riqualificazione dell’automotive punta particolarmente: “L’aiuto chiesto da Luc Chatel, responsabile della federazione auto, è di almeno 17,5 miliardi per i prossimi quattro anni con un possibile impatto sull’occupazione che si stima fino a 100 mila posti di lavoro”.

Chi del resto sulla via della riconversione punta con insistenza è il polmone dell’industria tradizionale europea, la Germania. Angela Merkel ha costruito un Recovery nazionale orientato quasi completamente alla transizione per rendere la nazione protagonista delle nuove rotte dell’industria, delle catene del valore di ultima generazione, dei settori a più alta intensità tecnologica senza lasciare indietro i campioni nazionali. Sono di queste settimane, ad esempio, le notizie che vedono un insolito attivismo di  Volkswagen, campione per eccellenza dell’industria delle industrie. Il colosso di Wolfsburg è protagonista in Penisola Iberica, essendosi tramite Seat dichiarato disposto a collaborare con il governo spagnolo per la trasformazione del Paese in un hub leader della mobilità sostenibile, ma anche nel nostro Paese: recente è l’annuncio della prossima nascita di una joint venture paritetica con Enel X finalizzata a realizzare e gestire una rete di tremila punti di ricarica ad alta potenza.

L’ammonimento di Giorgetti e Cingolani del resto trova risposte pratiche sul campo: i campioni nazionali italiani dettano la via delle nuove alleanze industriali, dei nuovi paradigmi e dell’innovazione mettendo in campo, prima ancora che la politica arrivi a sistematizzare le strategie, miliardi di euro di investimenti (oltre a Enel, in Italia investono Terna, Eni, Stellantis). La presenza degli investimenti strategici governativi può dare un ulteriore volano a questo processo, che è in fin dei conti una sfida dell’ingegno umano, della visione politica, dell’imprenditoria, del talento scientifico. Una partita a tutto campo che plasmerà nuove dinamiche economiche e strategiche nei decenni a venire, creando nuove potenze industriali e ridefinendo la gerarchia tra quelle tradizionali. Si tratta di una sfida entusiasmante, sicuramente molto più entusiasmante e degna di studio e approfondimento del moralismo catastrofista che immagina rivoluzioni pro-ambiente incapaci di ricordarsi del vero fattore abilitante: l’uomo.





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