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In Europa non si contano più le manifestazioni di giovani e giovanissimi in favore del clima. Le parole dell’attivista svedese Greta Thunberg hanno incantato intere generazioni e perfino i governi degli Stati meno inquinanti al mondo, folgorati dalla battaglia della 16enne, hanno iniziato a recitare incomprensibili mea culpa. Prendiamo la Germania, il caso più emblematico. Angela Merkel, insoddisfatta della già più che ecologicamente accettabile economia tedesca, ha tirato fuori dal cilindro un maxi pacchetto di politiche per la lotta al cambiamento climatico dal valore di 100 miliardi. Fondi che saranno spesi da qui al 2030 e che peseranno in buona parte sulle tasche dei contribuenti. Insomma, una marea di soldi per una causa nobile ma non così apocalittica, a giudicare dalle ultime stime preliminari Eurostat sulle emissioni di Co2 derivanti da combustibili fossili. In generale, nell’Unione Europea, nel corso del 2018, le emissioni responsabili del surriscaldamento globale sono scese del 2,5% rispetto all’anno precedente; la riduzione maggiore si è avuta in Portogallo con un bel -9% ma anche la Germania non ha certo scherzato, facendo registrare un secco -5,4%.

L’inquinamento di Cina e India

Se allarghiamo il quadro all’intero pianeta, notiamo come l’Occidente non sia la fonte principale delle emissioni di Co2. Le situazioni più critiche sono quelle di Cina e India, tanto apprezzate per aver piantato decine e decine di milioni di alberi quanto ignorate per altri aspetti. Dando un’occhiata ai dati proposti dal Global Carbon Project, notiamo come dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi, il Dragone e l’Elefante siano arrivati a produrre rispettivamente poco più di 10 bilioni di tonnellate di Co2 e circa 2,5 bilioni, pari a un incremento del +208% e +155% registrato nel periodo compreso dal 2000 al 2018. La tanto bistrattata Europa ha invece effettuato un percorso inverso, scendendo a circa 3,5 bilioni di tonnellate di Co2 prodotte, con un calo del -16% negli ultimi 18 anni. Per quanto riguarda la classifica dei paesi più inquinati al mondo considerando la concentrazione media stimata di PM2,5 (μg/m³) il sito AirVisual inserisce al primo posto il Bangladesh, con il valore di 97,1; a seguire troviamo Pakistan (74,3), India (72,5) e Afghanistan (61,8). La Germania è al 54esimo posto con un valore di 13,1. Fatta eccezione per alcuni paesi balcanici e dell’Europa Orientale come Bosnia, Macedonia e Bulgaria, l’Europa non ne esce affatto male e neppure gli Stati Uniti, 65esimi con 9,1.

Qualcuno avvisi Greta: non è colpa dell’Europa

Da questi e altri dati, notiamo come in realtà siano proprio i governi europei ad aver fatto i maggiori passi in avanti nella battaglia contro l’inquinamento, principale fattore del cambiamento climatico. Non si capisce quindi perché Greta e i gretini continuino a organizzare manifestazioni, scioperi e cortei in quella parte di mondo che, pur con tutti i limiti del caso, ha dimostrato di avere a cuore l’ambiente. Tralasciando il fatto che l’ambientalismo è ormai oggi diventato l’argomento principale sbandierato dai governi progressisti di tutto il mondo, Greta e i suoi adepti dovrebbero pianificare un bel viaggio via mare per approdare in Cina e risalire fino a Pechino. Qui potrebbero accamparsi in piazza Tienanmen di fronte alla Città Proibita e protestare contro Xi Jinping, che pure ha illustrato per filo e per segno i progressi effettuati dal suo paese in ambito ecologico. Quando una battaglia, pur giusta e legittima che sia, si trasforma in un’ossessione raramente porta a ottenere risultati positivi.

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