Nel 2020, si è registrato un record per gli uragani. In media, se ne verificano 12 l’anno, ma nello scorso si è raggiunto un totale di 30. L’organizzazione meteorologica mondiale ha stilato sei liste, che vengono usate a rotazione dal 1953, ognuna composta da nomi propri, che iniziano seguendo l’ordine dell’alfabeto, escludendo q, u, x, y e z, per la difficoltà di trovare equivalenti in inglese, spagnolo e francese. Per la seconda volta nella storia, si è dovuti ricorrere alle lettere greche per designarli tutti. Poco oltre la metà di settembre, si era arrivati al 22º, con l’uragano subtropicale Alfa, ma alla fine ce ne sono stati ben 9 con caratteri ellenici. L’ultimo, Iota, è stato classificato nella categoria più alta, forza 5, della scala Saffir-Simpson.

Il transito di Iota ed Eta, a quindici giorni uno dall’altro, in Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala e Colombia, ha causato enorme distruzione. Le Nazioni Unite stimano 4.6 milioni di persone colpite, con comunità isolate senza acqua, alimenti e medicine, deterioramenti a installazioni pubbliche, e perdite fino all’80 per cento nel settore agricolo. In Nicaragua, sono stati compromessi 1200 chilometri di strade e danneggiate 70 mila tonnellate di legumi, e i coltivi di riso e mais, da cui dipendono la sicurezza alimentare. Ne El Salvador, è stato messo a repentaglio fra il 15 e il 20 per cento, circa 148 mila quintali, della produzione di caffé, fonte di esportazione in valuta pregiata. Già prima di Iota ed Eta, a Cuba, l’88 per cento della pesca si trovava in stato critico per cause ambientali. Nello Yucatán, in Messico, è stato battuto il primato delle inondazioni sia per il livello sia per il tempo di permanenza.

I cicloni in Centroamerica e nei Caraibi sono aumentati di un 77 per cento in quarant’anni. Tre delle quattro ultime stagioni nel nord Atlantico sono state caratterizzate da mega uragani, con venti a una velocità di più di 250 chilometri orari, che rappresenta un incremento del 70 per centro della loro potenza. Di conseguenza, le città costiere ormai passano da periodi prolungati di siccità a violenti alluvioni, che condizionano la bilancia economica nazionale e la vita di milioni di persone che non possono prescindere dall’agricoltura di sussistenza e la pesca artigianale. Studi, che hanno contato con la partecipazione tecnologica della Nasa, affermano che in nessun altro luogo del mondo si associa la stessa quantità e rilevanza di incognite climatiche e geologiche. La regione è stata definita un laboratorio sul riscaldamento globale, alla stregua dei poli, per osservare come l’intensificazione di situazioni estreme impatta sulla resilienza della natura e le società umane.

Inoltre, molte delle azioni previste dai piani di stimolo economico, non solo determinano un pericolo per il rinnovo degli ecosistemi dopo eventi traumatici, ma la stessa effettività e sostenibilità degli investimenti è alla mercé del decadimento del medio ambiente. A esempio, gli incentivi per l’ittica in zone fragili, depauperano la biodiversità e la sua rigenerazione, mentre la costruzione di strade, e l’urbanizzazione disordinata e massiva sui litorali, riducono le barriere naturali alle tormente, come i boschi di mangrovie, che solo nel 2017 avevano subito 30 volte più danni che nelle otto epoche anteriori. Altro ambito è la crescita smisurata dell’industria turistica con l’edificazione di strutture ricettive e porti che hanno distrutto grandi estensioni forestali, aumentando l’esposizione agli azzardi climatici e, in ultima istanza, minacciando la redditività del comparto.

I risultati delle investigazioni, quindi, devono tradursi in politiche concrete con rapidità. Il Centroamerica e i Caraibi, da un laboratorio possono tradursi in uno spazio di innovazione. Per gli esperti, un caso virtuoso è quello offerto da Cuba, dove strumenti di pianificazione, basati sulle risorse territoriali esistenti, e gestione del rischio intrinseco, sono inquadrati in una piattaforma nazionale che garantisce le dovute sinergie. In nessuno degli altri paesi colpiti da circostanze devastatrici è stato posto in atto un sistema simile, dove approccio scientifico e sviluppo socioeconomico si incontrano con alti standard di integrazione. Di fatto, il nesso fra medio ambiente ed economia non sembra essere sempre del tutto chiaro. Tuttavia, le infrastrutture verdi, costituite da mangrovie, barriere coralline e pascoli dei fondali, che proteggono dall’innalzamento delle acque, e assorbono il carbonio nei suoli marini e  inframarini, così riducendo l’effetto serra, potrebbero non resistere ancora per molto.

Diversi stati della regione hanno richiesto aiuti al fondo verde delle Nazioni Unite, la cooperazione internazionale statunitense, e le grandi istituzioni per il finanziamento dello sviluppo, come la banca mondiale, l’interamericana, e la centroamericana di integrazione economica. Gli scienziati concordano che si tratta di un’occasione per mettere al centro della ripresa la ricostruzione verde, il cui impegno era stato sancito dall’iniziativa 20×20, lanciata alla conferenza sul cambio climatico di Lima, che aveva l’obiettivo di ripristinare 20 milioni di ettari di terre degradate in America Latina entro il 2020, poi passato a 30 milioni di ettari nel 2030, e dalla decade per il recupero degli ecosistemi dell’Onu, proclamata quest’anno. A maggio, si dovrà anche accordare una roadmap che preveda la salvaguardia del 30 per cento degli spazi acquiferi e terrestri del pianeta. Quello che è indispensabile per affrontare questi fenomeni, e assumere decisioni che non siano fondate su calcoli opportunistici o spinte emotive, sono politiche di lungo termine e progetti di ricerca su larga scala.

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