Se tutti i giornalisti sono un po’ spie, non tutte le spie sono anche giornalisti. Qualcuno sì. La collaborazione tra giornalisti, scrittori e servizi ha radici antiche. Vite giocate sempre sul crinale del doppio, dove il confine tra realtà e finzione si confonde. A cominciare dall’inventore della spia più famosa di sempre. Ian Fleming, prima di diventare giornalista e poi dar vita a James Bond, lavorò per la Royal Navy’s Intelligence, il servizio segreto della marina. E non fu l’unico.
Prima di lui, durante la Grande Guerra, Somerset Maugham entrò nella British Intelligence. Reclutato da John Wallinger (il capospia “R” nei racconti di Maugham, poi interpretato da Charles Carson in Agente segreto di Hitchcock) faceva parte della rete di agenti britannici che operavano in Svizzera contro il Berlin Committee (il Comitato per l’indipendenza dell’India). Usò la sua esperienza di 007 per scrivere le avventure di Mister Ashenden, spia solitaria e tormentata che ispirò a Flaming la serie di Bond.
Anche Graham Greene, venne ingaggiato dall’MI6 (l’agenzia britannica di spionaggio per l’estero) grazie alla sorella, Elisabeth, che già lavorava per l’organizzazione, e durante la Seconda guerra mondiale fu inviato in Sierra Leone. Posti visitati, avventure vissute, personaggi incontrati, confluirono nei suoi romanzi, da Un americano tranquillo a Il nostro agente all’Avana, a Il fattore umano.
Dall’altra sponda dell’Atlantico arriva “la più pericolosa spia degli alleati”. Spina nel fianco dei nazisti, Virginia Hall, corrispondente in Francia del New York Post, fu al soldo prima dei servizi segreti britannici, poi dell’Oss, l’Office of strategic services statunitense, (predecessore della Cia). La “dama zoppa”, come era nota tra i tedeschi per via della gamba amputata dopo un incidente durante una battuta di caccia a Smirne, si rivelò decisiva per il trionfo alleato in Normandia.
In tempi più recenti, è Mikhail Butkov a incarnare lo spregiudicato doppiogiochismo delle spie sovietiche. Entrato a far parte del Kgb nel 1984, si trasferì in Norvegia cinque anni dopo, operando under cover come corrispondente per Rabotsjaja Tribuna. Da Oslo passò al soldo dei servizi segreti norvegesi e britannici, servendosi della copertura per reclutare fonti, spiare cittadini di alto profilo e diffondere storie fuorvianti sui giornali locali.
I tentacoli dell’intelligence russa, però, non conoscono limiti geografici. Vicky Peláez è una giornalista peruviana, vive al “17 di Clifton Avenue a Yonkers dal 1985” e scrive, da New York, per The Moscow News e Sputnik. Ufficialmente. Quando nel giugno 2010, l’Fbi l’arresta, insieme al marito Mikhail Vasenkov e altri otto. L’accusa: essere una spia sul libro paga del Cremlino. Dichiaratasi colpevole viene deportata in Russia come parte di uno scambio di agenti. Ora, stando alle ultime notizie, sarebbe tornata in Perù.
Federico Umberto D’Amato è un caso a parte. L’uomo che sapeva tutto di tutti. E che tutti riusciva a far parlare. FUDA, o Umbertone, come lo chiamavano gli amici per la corporatura che tradiva la passione per il buon cibo, di vite ne ha vissute almeno due. La prima, da spia, iniziò quando, a soli venticinque anni, dopo l’8 settembre 1943, lavorò alle dipendenze di James Angleton, capo del servizio segreto Usa, l’Oss, finendo per diventare dal 1971 al 1974 direttore dell’Ufficio Affari Riservati (il servizio segreto politico di allora) del ministero dell’Interno.
Nell’altra, Zaff (così lo chiamavano in codice, come emerge dagli atti giudiziari, gli organizzatori della strage di Bologna, in quanto amante dello zafferano) è stato un raffinato giornalista enogastronomico, inventore, con lo pseudonimo di Federico Godio per il Gruppo L’Espresso, della Guida d’Italia. 1500 ristoranti e trattorie, 500 alberghi e pensioni, noti e meno noti. Il “Grande Fascicolatore”, che, tra una vodka (che beveva fin dal mattino) e una Philip Morris, non negava un dossier a nessuno, resta un mistero difficile da decifrare. Dalle segrete trame delle stragi di Stato alla disputa sull’abolizione della pastasciutta, trasversale e sotto traccia come solo lui riusciva ad esserlo. “Ogni buon agente segreto, – rivela FUDA in un’intervista riportata da RollingStone – insieme al cifrario o al mini-registratore, ha sempre un taccuino con i buoni indirizzi di forchette nel suo Paese e all’estero. Questi ristoranti sono convenzionalmente una specie di campo neutro, dove si parla liberamente, senza timore di registrazioni clandestine o di altri trucchi”. Perché una spia, in fondo, resta pur sempre una spia. Anche a tavola.
“Sono centinaia i giornalisti di tutti i Paesi europei che lavorano per i propri servizi segreti o per quelli statunitensi. Il loro compito è quello di obbedire e favorire Washington. Sanno benissimo che potrebbero perdere il loro lavoro nei media se non rispettassero l’agenda pro-occidentale”. A gettare la bomba è Udo Ulfkotte. Firma di punta della Frankfurter Allgemeine Zeitung, inviato di guerra e poi caporedattore di politica estera, nel 2014 pubblica il libro Giornalisti comprati, in cui denuncia di essere stato per ben 17 anni un agente per conto della Cia e di altre agenzie di servizi segreti (tra cui la Bnd, l’intelligence tedesca). “Non è giusto quello che ho fatto in passato, ho manipolato le persone – ammette Ulfkotte – e ho fatto propaganda contro la Russia. Sono stato corrotto da miliardari e dagli americani per non riferire la verità. Mi sono sentito manipolato, non mi hanno permesso di dire quello che sapevo”.
Il meccanismo è tanto semplice quanto subdolo. “I giornalisti – spiega – vengono spesso avvicinati di nascosto. Niente soldi. Usufruiscono di compensi sotto forma di regali, di viaggi gratuiti, opportunità di entrare in una rete di relazioni precostituite dalle varie agenzie di spionaggio, funzionali alla propria carriera e lavoro. Ti invitano a vedere gli Usa, pagano tutto, ti riempiono di benefit, ti corrompono. Ti danno la possibilità di intervistare politici americani, ti accosti sempre di più ai circoli del potere. E poi tu, che vuoi rimanere all’interno di questo cerchio d’élite, finirai a scrivere qualsiasi cosa per compiacerli. Se non lo fai, la tua carriera non andrà da nessuna parte. Ho molti contatti con i giornalisti britannici e francesi: hanno tutti fatto lo stesso percorso”.
Poco dopo aver deciso di svelare nuovi intrighi, il 13 gennaio del 2017 viene trovato morto nella sua abitazione. Il governo tedesco lo ha liquidato come infarto, facendolo cremare senza disporre l’autopsia e impedendo, così, per sempre di fare chiarezza. Una fine degna di una spia.