Cosa vuol dire oggi fare il giornalista? In un’epoca in cui la disintermediazione e i social la fanno da padroni e in cui la rete ha decuplicato le possibilità di accesso all’informazione da parte di chiunque, la risposta non è affatto semplice. E si schianta con una domanda e una passione per il giornalismo che restano comunque molto alte. Ma quali sono i requisiti che deve avere un giovane che nel 2022 vorrebbe intraprendere questo mestiere? Lo abbiamo chiesto a chi di giovani ne ha visti e ne vede passare davanti ogni anno tantissimi. Venanzio Postiglione infatti oltre a essere il vice direttore del Corriere della Sera è anche fondatore e direttore della scuola di giornalismo Walter Tobagi di Milano.

Cosa vuol dire oggi fare il giornalista?

Vuol dire divertirsi. Sperimentare. Provare a coinvolgere i giovani. Immaginare il mondo nuovo. Siamo nel cuore di una rivoluzione: molto faticoso ma anche entusiasmante.

Qual è il percorso migliore per diventarlo?

Frequentare una Scuola di giornalismo. Sono in tutta Italia e a Milano ne abbiamo tre, legate a Statale (la Tobagi), Cattolica e Iulm. Si entra per merito e si impara il mestiere come è adesso. Importanti e interessanti anche i percorsi delle Academy organizzate dalle aziende editoriali.

A livello formativo c’è una laurea o altro che consiglia?

Giurisprudenza e Lettere su tutte. Ma in realtà va bene qualsiasi laurea e c’è anche una grande richiesta di comunicazione scientifica.

Lei è direttore della Scuola di giornalismo Walter Tobagi, quanto è importante il ruolo delle scuole per chi si avvicina alla professione?

Fondamentale. Per tenere alto il senso e il valore della nostra professione e per formare giovani pronti a tutto: web, carta, video, radio, social. Non c’è luogo dove si possa imparare tanto e in tempi rapidi.

Con la nostra Academy stiamo notando che c’è molta richiesta di formazione e di qualità a prescindere dai canali tradizionali, si iscrivono molti. Può essere una strada utile per coltivare talenti?

Sì. Sicuramente si. I cacciatori di talenti sono i veri benemeriti del nostro Paese. La frattura tra competenze e aziende si rimargina anche con le Academy e sempre con la formazione.

È importante saper utilizzare tutti i mezzi di comunicazione o è meglio approfondirne uno?

Tutti. Perché ogni cosa potrà servire. Con il digitale al primo posto.

Lo stesso discorso può valere per le aree di competenza: meglio avere uno spettro più ampio o puntare sulla verticalità?

Il giornalista, il comunicatore deve orientarsi in ogni campo. E poi, certo, una competenza specifica e molto approfondita può fare la differenza.

Dal punto di vista economico è ancora una professione che lei consiglierebbe a un giovane e perché?

Così così. L’aspetto economico non è quello di un tempo. Ma chi è veramente bravo andrà sempre avanti, sono fiducioso.

Qual è lo stato attuale dell’informazione on line secondo Lei?

Una lunga fase di passaggio. Ma il pubblico ha capito che l’informazione digitale di qualità va pagata, e non parliamo di cifre alte. Siamo sommersi dalle informazioni ma abbiamo l’esigenza, vitale, di capire cosa è vero e cosa è falso. Siamo entrati nell’epoca della fiducia. Bene così, senza spaventarsi.

Come immagina il mondo dell’informazione tra vent’anni? Che ruolo avrà internet?

L’informazione autorevole e credibile vincerà. Internet sarà la regina assoluta e i giornalisti professionisti ci saranno. Non semplice. Ma le grandi sfide sono così, si fa una gran fatica.

Pensa che i social network sostituiranno le testate tradizionali e che il giornalista debba puntare solo sul brand personale?

Le testate tradizionali possono farcela se portano avanti tutte le piattaforme, allo stesso tempo, con gli investimenti giusti sul digitale. Il brand personale è un aspetto del mondo nuovo: purché sia giornalismo e non cabaret. 

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